Rischiamo moltissimo. Rischiano i docenti nuovi assunti: demansionati o no, a seconda dei capricci del ds reclutatore; vincolati a contratti triennali, dopo i quali torneranno nella centrifuga – il frullatore, come lo chiama il mio amico Carlo Salmaso – degli albi regionali: nuovo giro, nuova corsa. Rischiano i docenti di ruolo, anche i più anziani. A regime, anche loro potranno essere trattenuti in cattedra o destinati – dal ds capriccioso-creativo-autoritario – ad una delle 13 mansioni dell’organico dell’autonomia. Anche loro nel frullatore, se perderanno posto o chiederanno trasferimento. Da dove verranno pescati da quel preside che li guarderà con benevolenza e deciderà di chiamarli (evitando di evocare prevedibili ed italianissimi scenari da “inciucio”). Dall’albo tutti a scodinzolare, come cagnolini fedeli, per essere reclutati dalla “squadra” migliore; magari messi su cattedra, invece che obbligati a svolgere compiti da tuttofare tappabuchi. Non esisterà più stabilità di sede. I docenti italiani saranno gli unici – tra lavoratori pubblici e privati – a non avere più la titolarità del posto di lavoro. Alcuni, i neoassunti, senza articolo 18. E a scodinzolare. poi, tutti insieme, pure per essere tra i “premiati”. Da chi? Dal dirigente padrone, naturalmente. Ogni scuola luogo geometrico di una squallida guerra tra poveri, dove ciascuna ed ogni cosa sarà lecita, pur di entrare nelle grazie del decisore unico: sic transit gloria mundi. E pure la libertà di insegnamento.

L’abrogazione delle prerogative  degli organi collegiali comporterà – non è peregrino pensarlo – alcune conseguenze non ancora evidenti ai più; ad esempio: il piano annuale delle attività viene oggi approvato dal collegio dei docenti. In futuro sarà sempre lui – il ds – il giudice unico: perché non riabilitare la proposta Reggi (ricordate il sottosegretario, sostituito dal “meritevolissimo” Faraone, che  compì il miracolo di mandare la scuola in piazza nel luglio scorso) scuole aperte tutto l’anno, h24? Starà al deus ex machina della nuova scuola, ad esempio, valutare se l’interruzione natalizia possa, come oggi, comprendere dal 23 all’Epifania; o solo – strettamente – le festività comandate.

Rischiano, come al solito più di tutti, gli studenti, che dovrebbero incarnare la centralità della scuola: i cosiddetti soggetti in apprendimento, cui viene negato il diritto alla continuità didattica. Il diritto al sapere disinteressato, perché la scuola – nell’odioso mondo di Renzi – è finalizzata al lavoro. Che verranno avviati precocemente ad un lavoro gestito dalle aziende e non dalle scuole. Che continueranno a vivere in classi sovraffollate, con i soffitti che ogni tanto fanno i capricci e cascano sulla testa di qualcuno di loro.

Rischia la società tutta, perché non avrà più la scuola della Repubblica. Ma piccole monadi, apparentemente autonome – in realtà subalterne al potere del governo, che – attraverso i ds manager e i passaggi obbligati previsti per ogni loro mossa, persino per approvare il Piano Triennale dell’Offerta Formativa (ah, dimenticavo. Sul Piano decideranno ancora loro, “sentito” quegli inutili orpelli del collegio dei docenti e del Consiglio di Istituto) – non potranno che porsi come Yes men (ma la maggior parte sono sulla buona strada, se si pensa a cosa sta succedendo con il Rav e il Servizio Nazionale di Valutazione, su cui pende un ricorso della Flc alla Consulta) del ministro di turno.

Rischia la democrazia italiana, perché già in Commissione parlamentare, dove il testo del ddl del governo è da poco approdato, sono state violate procedure; si impongono tempi da guerra-lampo per riformare la scuola in una maniera autoritaria e antidemocratica, alla quale nemmeno il peggior Berlusconi era arrivato a pensare. Si pone e si impongono tali tempi su un ddl che, all’articolo 21, contiene ben 13 deleghe in bianco per il governo. Vuol dire che nei loro progetti – dopo che verrà approvato il  testo – completeranno l’opera in totale solitudine, destituendo definitivamente il Parlamento da quel poco di ruolo che ancora ha. Lo faranno, ad esempio, su 0-6, diritto allo studio, norme per il reclutamento, riforma degli organi collegiali (già anticipata nel testo; essi non avranno più sovranità su alcuna materia; verranno solo “sentiti” dal padrone delle ferriere) riforma del sostegno. E, se dovesse sfuggire qualcosa, ecco un’altra delega: quella per rivedere il TU dlgsl 297/94.

Davanti a questo dramma (culturale, civile, politico, democratico, costituzionale) non si comprende la lenta reazione di una parte della scuola. Questa “riforma” – sia chiaro a tutti – non è “roba da precari”. È il più violento tentativo avvenuto in età repubblicana di privatizzare la scuola e distruggerne il modello costituzionale. I lavoratori della scuola rischiano di essere i più massicci precarizzati alla Jobs Act. Valutazione e reclutamento potenzialmente subordinati alla capacità di asservimento alle logiche dominanti. Gli studenti: numeri su cui far arricchire aziende. Consumatori acritici, invalsizzati e possibilmente neutralizzati in funzione dell’affermazione del pensiero pedagogico unico.

Non c’è più tempo per inutili particolarismi e sofistici distinguo. Il mondo della scuola deve mobilitarsi unito e ora. Lo sciopero di Unicobas, USB, Anief e Autoconvocati, il 24 aprile; le tre date dello sciopero Invalsi dei Cobas; e l’appena proclamato sciopero di Cgil, Cisl, Uil, Snals, Gilda, Cobas per il 5 maggio sono gli appuntamenti fissati per la mobilitazione. Continuo a credere che un passo indietro da parte di tutti per arrivare ad uno sciopero realmente rappresentativo dei lavoratori della scuola e degli studenti e ad una piattaforma integralmente condivisa con pochi imprescindibili punti (blocco del Ddl, assunzioni immediate per precari, 6% del Pil all’istruzione) avesse potuto rappresentare la risposta più adeguata ad un attacco epocale alla scuola pubblica italiana.

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