Microchip negli scarponi da lavoro o negli elmetti, gps integrato nelle cinture, braccialetti vibranti ai polsi “come ai carcerati” o videocamere: le nuove tecnologie stanno rendendo il lavoratore sempre più simile a un cyborg controllabile in stile Grande Fratello. Le giustificazioni delle aziende che applicano questi congegni (“aumentiamo la sicurezza e miglioriamo l’organizzazione del lavoro”, è il ritornello) non convincono però in pieno. Molti lamentano che si tratta solo di un modo per controllare in modo più stringente i ritmi di produzione e “spremere” il dipendente. E la Fiom punta i piedi: il segretario Maurizio Landini ha chiarito che il sindacato dei metalmeccanici anche su questo fronte punta a “mantenere le norme contrattuali e legislative preesistenti”.

Nessuna rivoluzione: l’Europa ci osserva – La disciplina del controllo a distanza contenuta nell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori potrebbe essere stravolta dai prossimi decreti attuativi del Jobs Act: all’articolo 7 si prevede infatti “la revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore”. Il ministro del lavoro Giuliano Poletti, che nei giorni scorsi ha anticipato che “prima di agosto tutti i decreti saranno definitivamente approvati”, dovrà peraltro tener conto anche delle novità arrivate da Strasburgo. Lo scorso 1 aprile il Consiglio d’Europa ha infatti rivolto ai 47 Stati membri una “raccomandazione” (in realtà un aggiornamento rispetto a quanto disposto nel 1989) sui principi da seguire quando si legifera in tema di lavoro, privacy e nuove tecnologie. Ai punti 15 e 16 si fa esplicito riferimento alle tecnologie utilizzate per monitorare i lavoratori e a quei sistemi in grado di rivelare la loro posizione: il testo ribadisce che il monitoraggio dell’attività del dipendente non può essere lo scopo principale, bensì solo l’indiretta conseguenza di un’azione volta a proteggere la produzione e la salute e la sicurezza dei lavoratori. Al contrario è fatto divieto assoluto di controllare “attività e comportamenti” dei dipendenti e di usare telecamere o altri sistemi di sorveglianza in spogliatoi, mense e aree ricreative. Viene ribadita poi la necessità di un confronto con le organizzazioni sindacali.

Decreto attuativo sul controllo a distanza: “Ancora niente di chiaro” – Aumenterà davvero il livello di controllo? Ilfattoquotidiano.it ha contattato Vincenzo Martino, vicepresidente dell’associazione nazionale Avvocati giuslavoristi italiani (Agi). Il quale non si sbilancia: “La legge delega è molto generica: si tirano in ballo le attrezzature di lavoro ma non si capisce in concreto cosa si voglia dire. Troppo presto per dire quali saranno gli effettivi cambiamenti. La sensazione personale è comunque che si andrà verso forme di controllo più estese”. Poi uno sguardo alla situazione attuale: “Il controllo a distanza – spiega Martino citando lo Statuto dei lavoratori – può avere a oggetto non il singolo lavoratore bensì la generale organizzazione produttiva, e in ogni caso previo accordo sindacale o autorizzazione dell’ispettorato del lavoro. Nessuno strumento può esser finalizzato a controllare in via esclusiva il lavoratore. Qualsiasi atto unilaterale dell’azienda è illecito“.

Il microchip di Fincantieri, il braccialetto “come ai carcerati” e il gps nella cintura  A far riaccendere il dibattito sul controllo a distanza è stata la recente richiesta di Fincantieri di applicare un micro-chip agli scarponi o agli elmetti degli operai: “Non verranno utilizzati per il controllo a distanza”, ribadiscono dall’azienda. Ma Bruno Papignani, responsabile nazionale Fiom per Fincantieri, ribadisce: “Non ci pensiamo neanche a accettare una proposta del genere”. Papignani è anche segretario Fiom dell’Emilia Romagna, dove “purtroppo di queste richieste stravaganti se ne sentono sempre di più”. Nei mesi scorsi ha destato scalpore il caso della Obi di Piacenza. In un primo momento sembrava che l’azienda volesse applicare un braccialetto vibrante (“come ai carcerati”, attaccò la Uiltucs) ai commessi per monitorare i tempi di risposta alle richieste di assistenza dei clienti: “Il progetto è rimasto sulla carta”, ha chiarito però l’azienda. Bufera due anni fa anche sul gruppo Elior, gestore del bar dell’autogrill MyChef di Bologna: ai dipendenti del turno notturno fu chiesto di indossare una cintura con gps integrato. “Roba da Grande Fratello, è solo una via moderna per tornare all’Ottocento”, chiosa Papignani.

Le telecamere dell’Inps – Nel 2013 ha fatto discutere la richiesta della direzione dell’Inps di applicare telecamere nelle agenzie di Romano di Lombardia e Treviglio. Il “caso” è stato risolto: “Le telecamere – ha riferito a ilfattoquotidiano.it il funzionario locale della Fp-Cgil Dino Pusceddu – puntavano proprio sui lavoratori del front-office e in parte su quelli del back-office. Abbiamo ottenuto che si cambiasse l’angolazione dei dispositivi”.

Il microchip sottopelle: tra fantascienza e realtà – Il controllo dei lavoratori è molto sviluppato negli Stati Uniti. Nel 2013 un articolo (“The boss is watching”) apparso sul The Wall Street Journal riportava una ricerca dell’Aberdeen Group secondo cui circa un terzo delle imprese monitoravano attraverso congegni elettronici i dipendenti chiamati a lavorare all’esterno. Ha destato infine scalpore la proposta della svedese Epicenter di far applicare un microchip sottopelle ai propri dipendenti, in modo da sostituire il classico badge per l’apertura di porte o l’accesso agli ascensori.

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