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Dai Rom alle donne, parole che uccidono

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@StephanieGengotti

“I rom e gli zingari sono la feccia della società”. L’Eurodeputato della Lega Nord Gianluca Buonanno lo urla 3 volte in faccia a Djana Pavlovic il 2 marzo a Piazzapulita. Il giorno prima, il 1 marzo si celebrava in tutto il mondo lo Zero Discrimination Day anche perché molti paesi, l’Italia tra questi, hanno leggi contro la discriminazione ma molti politici utilizzano parole e slogan discriminatori per raccogliere consenso e prendere potere. Il problema, oltre a quello che Buonanno dice, è il fatto che questo dire resti impunito. O, peggio, che qualcuno applauda (benissimo ha fatto Corrado Formigli a fermare la trasmissione per un attimo dicendo che si vergognava appunto per gli applausi invitando il pubblico che ha battuto le mani a non partecipare alla trasmissione).

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Altrettanto bene ha fatto la Pavlovic a denunciare Buonanno per istigazione all’odio razziale. Si dirà, le parole sono solo parole.

Purtroppo (o per fortuna in base a come le si usano) le parole non sono solo parole. Sono, infatti, espressione di pensiero. A volte, il passo che lega il pensiero all’azione. Lo analizza bene uno studio dell’Osservatorio italiano sui Diritti che ha realizzato uno studio sull’intolleranza, creando una “mappa dell’intolleranza” monitorando oltre 2 milioni di tweet degli italiani in più di un anno di lavoro. Leggendolo, alla voce “Semantica” emerge che la parola che offende non esprime solo un rifiuto generalizzato di chi da sempre è considerato diverso ma un bisogno primitivo, non elaborato, scaraventato su gruppi di individui considerati inferiori. Una difesa psichica che si esprime attaccando aspetti fondamentali dell’umanità altrui.
Un’avversione profonda simile a quella ispirata dagli escrementi, insetti viscidi e cibo avariato. Molto vicino al concetto espresso con la parola “feccia” utilizzata da Buonanno. A corredo delle parole intolleranti, nei tweet analizzati da 3 Università italiane, infatti il rom sarà “di merda”, il frocio è “di merda”, la troia è “di merda”… e via discorrendo. Una ripetizione ossessiva che disumanizza prima di colpire e, perché no, uccidere.

Non a caso, la maggiore proliferazione di tweet intolleranti, nel nostro paese, riguarda la misoginia, oltre un milione di tweet parlano di intolleranza nei confronti delle donne. È infatti la misoginia il fenomeno esplosivo che emerge da questo studio che vede trasformarsi le parole a violenza agitata contro le donne. I dati italiani sono quelli che tutti conosciamo. Ogni poche ore (2 o 3 giorni) una donna viene uccisa dal marito o dall’amante. La disumanizzazione, fatta con le parole, è il passo precedente che permette di iniziare a uccidere chi oramai non è più pensato come essere umano. Oggetti da utilizzare e poi buttare. O solo da eliminare, come accade nelle guerre. Guerre lontane e vicine.

Purtroppo ho sperimentato sulla mia pelle queste logiche di disumanizzazione, raccontandole in un libro a una donna per me speciale che è stata anche un centosettantanovesimo delle donne uccise per femminicidio nel 2013. Si chiamava Tiziana, aveva 36 anni ed era mia sorella.

Tra poche ore sarà l’8 marzo, la Giornata internazionale della donna, creata per ricordare sia le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, sia le discriminazioni e le violenze cui sono ancora oggetto in molte parti del mondo. Attenzione alle parole “alla Buonanno”. Perché il passo dalle parole all’azione è troppo breve e troppo poco considerato.

Soleterre, dal giorno della sua fondazione, ha scelto di avere come claim “strategie di pace”. Crediamo che la non violenza debba essere un principio guida a cominciare dalle parole che si scelgono.

 

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