Nella grande narrazione renziana di un’Italia nuova liberata da crisi e rapaci notturni e affidata alle persone del fare, secondo i rigidi criteri della meritocrazia, emerge una retorica della mediocrità funzionale a giustificare il proprio leader, anche a costo di contravvenire alla tutela della propria dignità personale. Vediamo due esempi.

Sui social in questi giorni si sono accese discussioni (anche con il sottoscritto) sull’eventualità che le correzioni previste dal governo sul ddl per le unioni civili vadano in direzione di un loro depotenziamento. C’è chi, come me, sostiene che quella proposta sia già una mediazione al ribasso e che al di sotto di essa si cada nella pura e semplice discriminazione. Diverse persone Lgbt vicine al Pd e al suo segretario oppongono argomenti la cui sintesi potrebbe essere: «Meglio una pessima legge, che nessuna legge». Un po’ come con il ddl Scalfarotto. E sappiamo come è andato a finire.

Sempre sui social, nelle settimane passate, è scoppiata la polemica su Presadiretta in merito a “La buona scuola”, il cosiddetto piano di riforma del governo per l’assunzione di insegnanti precari. Il programma di Iacona ha dimostrato al grande pubblico – chi vive il mondo della scuola e ci lavora lo sapeva già – che si tratta della solita farsa per cui un provvedimento dovuto (l’Italia è obbligata per sentenza ad assumere il personale precario) viene spacciato per un “regalo” dell’esecutivo. Il quale prevede peraltro tagli agli scatti stipendiali, dequalificazione della professione (i/le docenti rischiano di finire a fare i tappabuchi), trasferimenti forzati sotto minaccia di licenziamento e inserimento dei privati nella gestione delle risorse, con possibilità di influenzare i programmi didattici: ovvero, la fine della libertà di insegnamento. Non è un caso, dunque, che questo provvedimento piaccia unicamente ai sostenitori del leader e a chi, a scuola, non ci va più da anni.

buonascuola

Eppure, di fronte a queste obiezioni, il fan club dell’ex sindaco di Firenze risponde con frasi preconfezionate, ripetendo ovvietà e infarcendole di bugie quali “per la prima volta si parla di un piano di assunzioni di massa” (e non è vero, perché già ai tempi di Fioroni se ne parlava e fu avviato un piano simile) e altre amenità. Ancora più tristi quei/lle colleghi/e che producono commenti del tipo “meglio condizioni di lavoro svantaggiose, che nessun lavoro”.

Pare che l’Italia renziana abbia definitivamente sdoganato l’idea che i diritti fondamentali, stabiliti peraltro costituzionalmente – come il rispetto dell’uguaglianza giuridica, la tutela delle diversità, l’istruzione pubblica, la garanzia di un lavoro – siano privilegi elargiti dal potere, rendendo accettabile anche a sinistra un processo iniziato con il berlusconismo. In questa narrazione è facile, per le classi dirigenti, screditare dignità e storie personali, in nome di un bene comune che coincide con un generale abbassamento della qualità della vita di cittadini/e e classi lavoratrici.

Un ultimo aspetto degno di nota: ho chiesto a diversi renziani Lgbt, in merito ai trasferimenti forzati previsti dal piano di assunzioni – serve un insegnante nel paesino alpino? Il preside ti ci manda dalla Sicilia senza che tu possa opporti, pena il licenziamento: e pazienza se lasci a casa marito e prole – cosa pensano di fare per tutelare quelle situazioni che non hanno riconoscimento giuridico. Come faranno i/le prof Lgbt a ricongiungersi con la persona amata se la legge non prevede il riconoscimento delle loro famiglie? La replica è la solita: “Per la prima volta si parla di un piano di assunzioni di massa” oppure “meglio condizioni di lavoro svantaggiose, che nessun lavoro”. Si mette in funzione una sorta di generatore automatico di risposte, senza affrontare l’argomento.

Credo che una buona politica debba puntare al miglior risultato possibile garantendo, in primis, la dignità delle storie che stanno dietro ogni esistenza. Per la retorica renziana, la cosa più importante è il risultato finale. Pazienza che esso non tenga conto del rispetto di intere vite umane, trattate come numeri da incasellare in questo o quello spazio vuoto. L’arrendevolezza di certi appartenenti alle categorie coinvolte non fa altro che incoraggiare questo atteggiamento. In alcuni casi, infine, il contributo di specifici “addetti ai lavori” sconfina nel collaborazionismo. In nome di un “meno peggio” che coincide con la mediocrità. E con la sua esaltazione finale.

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