Non è vero che il quantitative easing è destinato a fallire in un sistema finanziario dominato dalle banche, come quello della zona euro. È una strada da percorrere, anche se da solo non basta. E il suo obiettivo non è abbassare lo spread, ma contribuire al sostegno della domanda aggregata.

Angelo Baglioni, 16 Dicembre 2014, lavoce.info

Perché la Bce passerà al QE

L’esito della seconda operazione a lungo termine (T-Ltro) di dicembre non lascia spazio a dubbi: se vuole veramente aumentare la dimensione del suo bilancio, la Banca centrale europea deve cambiare passo. Tra settembre e dicembre, le banche europee hanno preso a prestito poco più di 200 miliardi sui 400 disponibili, nonostante le condizioni estremamente favorevoli: tasso d’interesse dello 0,15 per cento per un prestito a quattro anni. Tenendo conto che nei prossimi due mesi le banche dovranno portare a termine la restituzione delle operazioni a lungo termine (Ltro) fatte tre anni fa, per circa 300 miliardi residui, il bilancio della Bce sta dimagrendo tramite questo canale (rifinanziamento a lungo termine), anziché ingrassando.

bce-palazzoLe ragioni dell’insuccesso sono note: la domanda di credito è bassa e il rischio di credito è alto. Le banche sono quindi riluttanti a prendere a prestito soldi di cui non sanno cosa fare. “Parcheggiare” la liquidità in attesa di tempi migliori può essere costoso (i tassi d’interesse sulle riserve in eccesso presso la Bce e sul segmento a brevissimo termine dell’interbancario sono negativi) e anche rischioso: se le banche italiane comprano titoli pubblici aumentano la loro già alta esposizione al rischio sovrano. Occorre quindi passare a una gestione più attiva del bilancio della banca centrale, acquistando titoli sul mercato. Questo è quello che va sotto il nome di quantitative easing.

In realtà la Bce ha già cominciato a muoversi in questa direzione, ma in modo troppo timido. Gli acquisti di covered bonds bancari e di asset backed securities (Abs) sono briciole rispetto all’obiettivo che la Bce si è posta: aumentare la dimensione del suo bilancio di circa mille miliardi. Anche l’estensione degli acquisti ai corporate bonds lascia poche speranze, data la limitata dimensione di questo mercato nella zona euro. Non resta che comprare titoli di Stato. Questo passaggio sta creando una lacerazione all’interno della Bce, a causa della opposizione dei membri tedeschi del Governing Council e dei loro alleati, i quali temono che questa strada allenti la disciplina di mercato nei confronti dei governi portati a spendere troppo. Tuttavia, è una decisione che prima o poi verrà presa, seppure non all’unanimità, prevedibilmente nei primi mesi del prossimo anno. Il presidente Draghi è stato molto chiaro nella conferenza stampa del 4 dicembre: è disposto a fare passare una decisione a maggioranza, pur di rispettare il suo mandato di mantenere l’inflazione vicino al 2 per cento (mentre ora sta scivolando verso lo zero).

Funzionerà?

La vera domanda ora è: il Qe funzionerà? Per rispondere, bisogna considerare i canali di trasmissione della politica monetaria “non convenzionale” all’economia reale. Prendendo spunto dal discorso di Mario Draghi del 21 novembre (European Banking Congress,Francoforte), possiamo individuarne quattro.

1) Coloro che venderanno alla banca centrale titoli di Stato riceveranno in cambio soldi, che useranno per comprare altre attività finanziarie (corporate bonds, azioni) e reali (case). I prezzi di queste attività aumenteranno, con effetti positivi su debitori e creditori. Famiglie e imprese avranno a disposizione maggiori garanzie per prendere a prestito soldi dalle banche. Queste, a loro volta, avranno un patrimonio più elevato, che consentirà loro di offrire più prestiti.
2) La liquidità immessa verrà in parte usata da chi la riceve per comprare attività estere, facendo così cadere il valore dell’euro rispetto alle altre valute. La svalutazione favorirà le nostre esportazioni nette.
3) Se il Qe godrà di sufficiente credibilità, farà aumentare le aspettative di inflazione, ora ridotte al lumicino. Di conseguenza si ridurranno i tassi di interesse reali, con un impatto positivo sull’attività di investimento.
4) Infine, gli acquisti di Abs dovrebbero fare ripartire questo mercato, e per questa via stimolare l’offerta di nuovi prestiti bancari, che sono l’attività sottostante sulla quale costruire le operazioni di cartolarizzazione.

Questi quattro canali ci dicono che, in linea di principio, il Qe può funzionare anche in una economia come la zona euro, caratterizzata da un sistema finanziario banco-centrico, dove la maggior parte del credito viene canalizzato attraverso le banche. Non è vero quello che alcuni sostengono, cioè che il Qe può funzionare solo in economie, come quelle anglosassoni, dove il ruolo dei mercati dei capitali è preponderante rispetto a quello delle banche commerciali. È difficile quantificare ex ante l’impatto del Qe sulle economie della zona euro. Va da sé che da solo non può bastare a farle uscire da una crisi profonda come quella attuale: la politica fiscale e le riforme devono fare la loro parte. Tuttavia queste non sono buone ragioni per rinunciare a uno strumento che può essere utile. Va anche chiarito che la sua finalità non è quella di ridurre il famoso spread tra i titoli di Stato di diversi paesi, che è già basso. Il suo scopo è piuttosto quello di contribuire al sostegno della domanda aggregata di beni e servizi, favorendo così la ripresa economica.

Articolo Precedente

M5S guarda alla Grecia per un’alleanza mediterranea

next
Articolo Successivo

Fondi europei: Polonia, un modello da seguire con il 97,5% di finanziamenti spesi

next