Cucina

“Prima facevo… Ora faccio la chef”: Daniela Cicioni e la sua cucina “crudista”

Dall'architettura al diploma di "cuoca naturale". "È necessario imparare a utilizzare i vari stili di cottura perché, per esempio, c'è una enorme differenza a livello gustativo, energetico e nutrizionale tra scottare delle cime di rapa o bollirle per 15 minuti"

di Barbara Giglioli

Ogni uomo e ogni donna si avvicina alla cucina in maniera diversa. C’è poi chi lo fa laureandosi in architettura del paesaggio. Daniela Cicioni, lombarda d’origine, ha deciso di cambiare la sua vita: niente più progetti e tavole da disegno, ma una tavolozza di colori nel piatto. Vegana convinta, prende il diploma come “cuoca naturale”. Da lì intraprende un percorso da chef molto particolare alla scoperta del crudismo, tecnica che ora è il diventata il suo baluardo in cucina.

Daniela Cicioni, dall’architettura alla cucina. Come mai questo cambiamento?
Nel 2000 mi sono laureata in architettura del paesaggio, perché già allora amavo lavorare con la materia prima. Poi sono venuta a conoscenza de La Sana Gola. Lì si mangiava vegano e assaggiando i  loro piatti trovai un sapore che non mi sarei mai aspettata. Feci un corso e mi diplomai come “cuoca naturale”.

Lei fa “cucina crudista”, spiega ai lettori  di cosa si tratta?
Consiste nel preparare cibi utilizzando tecniche che non comportano l’uso del calore sopra i 42-45 gradi, ovvero essiccazione, fermentazione, germinazione e germogliazione, marinatura, pressatura, frullatura ed estrazione di succhi. In tal modo il patrimonio enzimatico rimane inalterato, così come i sapori.

Come si è avvicinata alla cucina crudista?
Grazie a un colloquio di lavoro al Centro Botanico nel 2007. Cercavano un cuoco con competenze sul crudismo. Così mi sono documentata su Internet, dato che le pubblicazioni sull’argomento erano rare in Italia a quel tempo, e da lì mi si è aperto un universo nuovo. Sono stata assunta e da quel momento non ho più smesso di studiare e sperimentare.

Quante ore settimanali dedica alla sperimentazione?
Tra ricerca, documentazione e sperimentazione in media trenta-quaranta ore.

Quanto è importante il crudismo per il piacere del palato?
È un volano in grado di amplificare e risvegliare una sensibilità gustativa superiore. Per questo consiglio di includere più preparazioni crudiste nella propria alimentazione. Abituarsi è un processo graduale, che richiede la riduzione degli alimenti impoveriti, lavorati e trattati industrialmente.

Quanto è importante conoscere i diversi tipi di cottura in cucina?
Moltissimo. È necessario imparare a utilizzare i vari stili di cottura perché, per esempio, c’è una enorme differenza a livello gustativo, energetico e nutrizionale tra scottare in acqua per due minuti delle cime di rapa o bollirle per 15.

Quanto è diffusa la cucina crudista in Italia?
Non sono in grado di dare una stima numerica, ma il processo di conoscenza in atto è in veloce diffusione. Quello che è  importante sottolineare è che ci sono diverse interpretazioni del crudismo.

Cioè?
C’è il crudismo gourmet, riservato alle grandi occasioni, c’è quello igienista e c’è il “fruttarismo”. Sono tutti concepiti per far star bene la persona a livello fisico, energetico e mentale.

All’estero dove è più diffuso il crudismo?
Credo negli Stati Uniti, soprattutto a Los Angeles e a New York.

Sono passati un po’ di anni da quando ha deciso di cambiare vita. Oggi rifarebbe la stessa scelta?
Sì, senza dubbio. Quello dell’architettura è un mondo troppo competitivo, mi è servito molto frequentarlo.

Quanto ha influito lo studio dell’architettura nei tuoi piatti?
Consapevolmente non lo so dire, in maniera inconsapevole credo che mi abbia dato la forma mentis.

Cosa hanno architettura e cucina in comune?
Ordine e creatività.

E questi due concetti come si sviluppano in cucina?
Ordine nel piatto e compostezza. Anche se io amo i piatti spontanei.

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