L’Italicum potrebbe cambiare ancora. La legge elettorale, approvata dalla Camera e in attesa di essere discussa al Senato, secondo il segretario del Pd Matteo Renzi, deve premiare una lista piuttosto della coalizione. “Il Pd deve avere gli strumenti elettorali” per affermarsi, dice il leader democratico alla direzione del partito. Ma sempre con il ballottaggio, unico modo per “avere una legge elettorale che consegni un vincitore”. “Il Pd è un partito che vince per fare una legge elettorale in cui sia chiaro chi vince. Un passaggio chiave per l’Italia perché non c’è mai stata una legge elettorale che rendesse chiaro chi fosse il vincitore, né con il Mattarellum né con il Porcellum”. La presa di posizione non è destinata alla sola cronaca politica: con un rapido tagliando al Patto del Nazareno potrebbe diventare presto un emendamento all’Italicum. Proprio ieri, 19 ottobre, Silvio Berlusconi in una telefonata ad un’iniziativa di Forza Italia a Civitanova Marche aveva detto di “sognare di vincere da solo, senza alleati”, un vecchio cavallo di battaglia tornato di moda e che infiamma nuovamente, se ce ne fosse bisogno, i rapporti con il Nuovo Centrodestra al termine di una settimana ad alta tensione tra azzurri e alfaniani: in molte Regioni che andranno al voto nei prossimi mesi Fi e Ncd correranno separati.

Certo, Angelino Alfano rischia di essere un problema anche per Renzi e per il suo governo. L’esecutivo al Senato sta in piedi solo grazie ai voti dei partitini e tra questi ci sono Nuovo Centrodestra e Popolari per l’Italia, gruppo in cui risiede non solo la pattuglia che segue Mario Mauro, ma anche la piccola rappresentanza dell’Udc e di Pierferdinando Casini (che esprime un ministro). A Palazzo Madama nelle ultime settimane gli equilibri si sono fatti ancora più delicati del solito soprattutto per gli effetti – non ancora chiari – della cosiddetta “operazione Lassie”, cioè il tentativo di Forza Italia di riportare “a casa” i parlamentari che seguirono Alfano nella scissione di fine 2013. Da una parte il presidente del Consiglio vede consumarsi come una candela il consenso del Nuovo Centrodestra. Dall’altra sembra aver premuto l’acceleratore su proposte che farebbero gola in fase di avvicinamento alle urne elettorali. E quindi usa il decisionismo anche su materie più sensibili per la tenuta della maggioranza, come i diritti civili: la programmazione in agenda (a gennaio, ha assicurato) di un testo sulle unioni civili per le coppie anche omosessuali e di una legge sullo ius soli (cosiddetto temperato, cioè dopo un ciclo scolastico del ragazzo che vuole diventare italiano). Per contro,  per fare breccia nei cuori di un’altra fetta di elettori, ha rilanciato con il bonus di 80 euro da estendere alle neomamme, dal 2015. Nessun accenno, nonostante le promesse, a un’estensione della stessa misura anche per i pensionati. Tuttavia pare che il leader Pd pensi alle elezioni come a un’ipotesi tutt’altro che improbabile. 

E quindi Renzi ha tutto l’interesse per spalancare il partito a chi ci vuole stare, per accogliere da Gennaro Migliore e gli altri fuoriusciti di Sel a Stefania GianniniAndrea Romano, rispettivamente ex segretario ed ex capogruppo di Scelta Civica alla Camera (che ha già dato la sua disponibilità).

 

“Il Pd – dice Renzi – deve essere un partito che vince e che, avendo una vocazione maggioritaria, sia in grado di contenere realtà diverse: da Gennaro Migliore ad Andrea Romano ci sia spazio di cittadinanza piena. Uno spazio certo non esclusivo che però nel Pd non ce l’ha nessuno, neanche il segretario”. Quanto alla base e alla polemica sulle tessere il segretario, durante la direzione del Pd, ammette che “una riflessione è fondamentale” ma “la discussione avuta nel corso degli ultimi giorni sul numero degli iscritti mi è parsa un po’ fuori luogo”. All’8 ottobre, sottolinea, il Pd aveva “239mila iscritti” comparati, ad esempio, ai 190mila del Psoe in Spagna a settembre, ai “197mila” del Labour britannico, ai 250mila del Ps francese a giugno, “con un -10% negli ultimi due anni”. Piuttosto la questione per Renzi è un’altra: “In un partito del 41% non si può pensare di non ascoltare chi la pensa diversamente, ma non possiamo diventare né un comitato elettorale né un club di anarchici e filosofi”. C’è dunque la necessità di aprire una discussione su come si sta nel partito “senza imporre o proporre alcunché ma cercando un punto di soluzione. Possiamo immaginare anche un passaggio assembleare, o un gruppo di lavoro, non ho problemi sulle forme”.

La direzione del Pd è dedicata alla “forma partito”, quindi al futuro della principale forza politica di centrosinistra e – per dirla facile – come agganciarsi definitivamente al 40 per cento. Il segretario Matteo Renzi ne approfitta per parlare di molte cose, ma precisa che la discussione non potrà esaurirsi in una sola giornata. “Essere di sinistra – dice il leader democratico – nel 2014 per me è dare opportunità: contro gli opportunismi e le rendita è di sinistra favorire le opportunità, liberare i talenti senza lasciare indietro nessuno. Creare pari opportunità per tutti”. Per il presidente del Consiglio è difficile sganciarsi dall’attualità politica e dall’azione di governo (che “arriverà al 2018”) e infatti da una parte rivendica la bontà della legge elettorale: “La sinistra è un partito che vince, perchè fa una legge elettorale in cui sia chiaro che c’è uno che vince”; dall’altra sottolinea che l’impasse del Parlamento sull’elezione dei due giudici costituzionali è anche colpa del Pd. “Napolitano – scandisce – ha sfidato il Parlamento che è in una situazione di stallo, e di cui anche noi siamo corresponsabili, sui giudici della Consulta. Il Parlamento deve riflettere sulla situazione di stallo nella quale ci siamo venuti a trovare”.  Tuttavia Renzi pur sottolineando che “è un Parlamento che da 18 mesi è bloccato, nei quorum costituzionali è messo in difficoltà da un blocco che dice ‘no’ a tutto”, è comunque “in corso un costante sgretolamento” di questo blocco. Definisce l’espulsione degli attivisti del Movimento Cinque Stelle “imbarazzante”, mentre la destra cerca – come dimostra la manifestazione di Lega e Casapound – radici diverse dall’unità intorno a un leader.

Si segnalano gli attacchi delle minoranze a Renzi in direzione dove peraltro il leader ha numeri per blindare qualsiasi decisione. “Matteo sei il segretario del nostro partito e il capo del nostro Governo – dice per esempio l’ex presidente Gianni Cuperlo – Io te lo chiedo qui: che cos’è la Leopolda? Dietro quella sigla c’è una fondazione che ha raccolto 2 miliardi di euro, 300mila serviranno per pagare questo week end. Io so che le correnti dominano la vita interna del partito da quando è nato, non farò un appello a non organizzare una parte, ma dico che se tu che sei il segretario costruisci e rafforzi un partito parallelo dotato di idee risorse e persone” non andremo “verso un partito dell’unità ma forse verso ciò che già siamo: una confederazione“. Più ironico Pippo Civati: “Sulla questione della fiducia mi fa piacere il tono utilizzato dal segretario rispetto ad atteggiamenti un pò più scalmanati visti sui giornali da parte di tutti. Io sono il primo scalmanato. E’ vero che io non votavo le fiducie al governo Letta ma quando sei arrivato tu il governo lo abbiamo cambiato… Una battuta per dire che la vita ti sottopone a cambi di verso”.

 

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