L’Italia ha il suo personale #BillOfRights, altrimenti detta Carta dei diritti dell’InternetSi tratta della prima stesura della Carta dei diritti in Rete, elaborata dalla commissione di studio voluta dalla presidente della Camera Laura Boldrini e presieduta da Stefano Rodotà.

La proposta della Commissione, già disponibile da oggi sul sito della Camera, dal 27 ottobre sarà oggetto di una consultazione pubblica, aperta non solo ai cittadini italiani, dal momento che il documento è stato presentato già tradotto anche in francese, inglese e tedesco.

Il testo consta di un preambolo e 14 articoli e, come molti dichiarazioni di principio affidate a Carte fondamentali, non affronta in maniera puntuale i profili  giuridici di realizzazione pratica delle tutele previste, limitandosi ad enunciare le definizioni.

E’ una enunciazione però alta, nel senso più nobile del termine, perché intende conferire al cittadino digitale  diritti di rango costituzionale.

Il testo affronta con un linguaggio chiaro temi di grande apertura mentale e di grandi aspirazioni, ed appare inevitabilmente influenzato dal pensiero del presidente della Commissione Stefano Rodotà, la cui lungimiranza rivoluzionaria ha permesso l’emersione in passato di diritti che l’esperienza giuridica italiana non conosceva, primo fra tutti il diritto alla privacy.

La bozza sembra ispirarsi anche al recente Marco Civil, la Costituzione di Internet approvata in Brasile il 22 aprile 2014, che contiene alcuni temi poi trasfusi anche nella bozza italiana, come il diritto all’identità personale, la privacy, la libertà di espressione e la net neutrality. 

Proprio quest’ultimo principio, previsto dall’art 3 della bozza, sembra essere il portato più innovativo dell’intero testo, ma anche quello che subirà le critiche più aspre, visti i precedenti in altri Paesi (gli Stati Uniti per tutti).

Il Marco Civil, presentato anche in Italia qualche mese fa, per iniziativa della sempre più attiva capo ufficio stampa della Camera dei Deputati Anna Masera, peraltro contiene anche alcuni elementi di cui fa difetto la proposta italiana.

Rispetto al Marco Civil, la Carta dei diritti di Internet italiana è più snella, e sembra peccare più per difetto che per eccesso.

Va ricordato infatti che il Marco Civil contiene anche norme che contrastano con la responsabilità degli intermediari, stabilendo che gli operatori di telecomunicazione non sono responsabili del contenuto pubblicato online dagli utenti e che i fornitori di servizi sono  ritenuti responsabili per i contenuti di terzi solo se non provvedono alla rimozione del materiale in seguito ad un’ordinanza di un tribunale.

Il richiamo alle garanzie giurisdizionali viene effettuato invece dalla proposta italiana solo in riferimento al diritto all’oblio e a quello all’anonimato, non ad esempio in relazione al diritto all’accesso alla rete dei cittadini né a quello (del tutto assente) del diritto d’autore.

Cosicché nella graduazione dei diritti di questa Carta fondamentale, il diritto all’accesso alla Rete pur costituendo una parte importante del tutto, al punto di meritare l’intero articolo 2 del testo, non è assistito dalle stesse garanzie dell’oblio e dell’anonimato, mentre il diritto di accesso ai contenuti sembra assumere una posizione di subalternità rispetto ad altri diritti.

Volendo cercare qualche elemento di dissonanza rispetto al resto, vi è poi una definizione non eccessivamente chiara del diritto all’oblio, e una possibile legittimazione collettiva alle richieste di accesso alla magistratura per negare la bontà del diritto all’oblio,  molto (forse troppo) ampia.

Manca invece del tutto nel testo, e l’assenza appare incomprensibile, il tema del diritto d’autore, ed i risvolti in termini di libertà d’espressione e di informazione   strettamente connessi a tale esercizio in rete.

Nonostante queste mancanze la Carta dei diritti di Internet appare essere la strada giusta per riportare il tema dei diritti in rete al centro del villaggio, come la Chiesa nel detto francese del famoso allenatore di Calcio.

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