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Femminicidio: anche i media devono fare la loro parte

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Il 4 ottobre mentre D.i.Re, l’ associazione Maschile Plurale e  le associazioni di ascolto di maltrattanti si confrontavano sul problema della violenza maschile contro le donne,  sul sito di Repubblica.it veniva pubblicata la notizia che sbrigativamente ci parlava di lei e della sua morte:  “Trentenne  uccide la moglie e si toglie la vita – L’uomo avrebbe agito in un raptus di gelosia. In casa i figli gemelli di 4 anni”.

Si chiamava Ivana Scintilla, lavorava in un ristorante a Riccione e aveva due gemelli di quattro anni. E’ stata uccisa dal marito che poi si è suicidato. Non sappiamo altro di Ivana  ma è doveroso ricordare che aveva diritto ad una vita e che non è morta a causa del “fato”.

Per Ivana non possiamo fare più nulla, purtroppo, non sappiamo se avesse subìto altre violenze e maltrattamenti, se avesse chiesto  e ottenuto ascolto. Le domande sono escluse da poche righe prive di  approfondimento.

Se vogliamo  affrontare il problema della violenza contro le donne in questo Paese, ognuno deve fare la sua parte, compresi i media. Il problema del femminicidio, inteso come qualunque atto di violenza sessista contro una donna, è un nodo che va sciolto collettivamente. L’aspetto del linguaggio è importante se vogliamo creare consapevolezza e fare in modo che i  pregiudizi sulle vittime di violenza non siano più condivisi e le donne non ne facciano le spese quando chiedono aiuto.

 In quest’articolo gli stereotipi fanno lo slalom tra “pare che” e sembra che” e arrivano dritto all’obiettivo di rimuovere il problema offrendo ai lettori la comoda versione del  “dramma della gelosia”. Così non va! Il raptus non esiste (nemmeno per la psichiatria) e la gelosia non è la spiegazione.

 L’impegno quotidiano di chi affronta il femminicidio continua a scontrarsi col muro di gomma degli stereotipi, delle banalità, dei paludosi  pregiudizi nei quali sprofonda mollemente la ragione. Purtroppo non è solo un problema di Repubblica.it, ogni volta che un uomo uccide o commette atti di violenza contro una donna, leggiamo articoli persino peggiori su altri quotidiani. E i cronisti non fanno altro che dare risonanza ad una percezione collettiva del fenomeno. A dispetto di Convenzioni internazionali che invitano i mass media ad avere maggiore attenzione al problema, (vedi articolo 17 Trattato di Istanbul) di una copiosa letteratura scientifica, di un confronto aperto sul tema, i giornalisti e i direttori delle loro testate, sembrano vivere ancora il tempo  del delitto d’onore che deve essere il tempo in cui abitano le loro rocciose convinzioni. Ogni due o tre giorni in questo Paese un uomo ammazza una donna e  il delitto spesso è commesso dopo anni di maltrattamenti.

Che tipo di informazione intendono fare sul problema se continuano a pubblicare articoli che deresponsabilizzano gli uomini che uccidono le donne (è stato il raptus!il destino! l’amore!), che occultano un crimine col ‘dramma della gelosia’ o con la ‘provocazione’, che rimuovono il problema della violenza maschile con la sottile tessitura della colpevolizzazione della donna. Non è una questione da poco, perchè questa è la cultura che nutre i semi del femminicidio.

@Nadiesdaa  

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