Tempeste, inondazioni, siccità, frane, incendi e ondate di calore. Quattro decenni di disastri naturali. In tutto 8835 eventi meteo e climatici estremi, con un bilancio globale di quasi 2 milioni di morti e 2400 miliardi di dollari di danni. Sono i numeri del nuovo atlante della World meteorological organization (Wmo), relativo agli anni tra il 1970 e il 2012. “Questo tipo di disastri è in aumento nel mondo – spiega Michel Jarraud, segretario generale della Wmo -. I sistemi di allerta migliorati stanno aiutando a prevenire perdite umane, ma l’impatto socioeconomico dei disastri sta crescendo a causa della frequenza più elevata e della maggiore vulnerabilità delle società umane”.  

L’Organizzazione meteorologica mondiale ha osservato una crescita costante, sia nei Paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo, dei disastri legati al meteo o al clima, con uragani e inondazioni responsabili del 79% degli eventi. Tra le zone più a rischio i litorali, minacciati dall’innalzamento del livello dei mari e da cicloni tropicali o tempeste nelle regioni extra-tropicali. “Si tratta di un lavoro qualificato e da certosini – commenta Massimiliano Pasqui, ricercatore dell’Istituto di biometeorologia (Ibimet) del Cnr -. Uno sforzo notevole per rendere i dati fruibili a tutti in maniera organizzata, che apre lo scenario a valutazioni più efficaci dei cambiamenti climatici”. 

Ai primi posti tra le catastrofi con più vittime, secondo gli esperti della Wmo, la siccità che ha colpito l’Etiopia nel 1983 e l’inondazione nel Bangladesh del 1970, responsabili di 300mila morti. Sul versante economico, invece, il disastro più costoso è stato l’uragano Katrina del 2005, che ha provocato danni per 146,89 miliardi di dollari, seguito da Sandy, nel 2012, con 50 miliardi. Secondo il rapporto, la globalizzazione ha amplificato l’impatto economico degli eventi estremi. L’alluvione del 2011 in Thailandia, ad esempio, ha interrotto le forniture per l’industria automobilistica e informatica destinate all’estero. Il risultato è stato una perdita economica stimata in 41 miliardi di dollari.  

Anche l’Europa in questi decenni è stata investita dagli effetti del clima che muta, con 1352 disastri censiti, 375,7 miliardi di dollari di danni e 150mila morti. Nel Vecchio continente è stato il caldo estremo la principale causa di morte. L’evento più grave è rappresentato dall’ondata di calore del 2003, che ha provocato più di 72mila morti, di cui 20mila solo in Italia. Nel nostro Paese, inoltre, particolarmente pesanti sono state le conseguenze delle inondazioni del 1994 e del 2000, rispettivamente al secondo e quarto posto tra i disastri europei più costosi, con 14,4 e 10,7 miliardi di dollari di danni.

“L’Europa è molto vulnerabile alle ondate di calore – sottolinea Pasqui – e i record continuano a spostarsi in avanti come in una corsa inarrestabile, con impatti significativi ad esempio sul comparto agricolo. Il mondo – aggiunge l’esperto del Cnr – è sempre più caldo, anche se non tutti andiamo nella stessa direzione e con la stessa velocità”. E il trend non sembra mutare nel 2014. La Japan meteorological agency (Jma), uno dei centri regionali della Wmo, ha di recente lanciato l’allarme sull’aumento della febbre della Terra. Secondo gli esperti nipponici, quella appena trascorsa è stata la primavera più calda mai registrata a livello mondiale  in oltre 120 anni di raccolta dei dati sulle temperature.

Con queste premesse, i 28 Paesi membri dell’Ue si stanno impegnando a trovare entro il mese di ottobre, in occasione del Consiglio europeo per la revisione del cosiddetto pacchetto su clima ed energia per il 2030, un accordo sulle emissioni di CO2, sulla percentuale di energia derivata da fonti rinnovabili e sui target di efficienza energetica. “Troveremo i modi e i tempi per fare questo accordo – ha assicurato il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti nel corso della riunione informale dei ministri europei dell’Ambiente a Milano – prima della Cop 20 di Lima”, la conferenza del comitato Onu per i mutamenti climatici fissata a dicembre, “alla quale – aggiunge il ministro – l’Unione europea intende arrivare con un messaggio univoco”. 

A rendere il clima estremo anche nei mesi avvenire potrebbe, intanto, contribuire il possibile arrivo, con il suo carico di siccità e alluvioni, di El Niño, l’aumento delle temperature superficiali del Pacifico che, secondo la National oceanic and atmospheric administration (Noaa) Usa, “Ha una probabilità del 70% di formarsi durante l’estate dell’emisfero settentrionale e vicina all’80% nel corso dell’autunno e all’inizio dell’inverno”. “El Niño – sottolinea Michel Jarraud – porta con sé eventi estremi e ha un effetto pronunciato sull’innalzamento delle temperature. È ancora troppo presto per valutare l’impatto preciso sulle temperature globali nel 2014 – precisa il segretario generale della Wmo -, ma ci aspettiamo che la tendenza al riscaldamento a lungo termine si aggravi a causa delle crescenti concentrazioni di gas serra. Restiamo vulnerabili a questa forza della natura, ma – conclude l’esperto – possiamo proteggerci grazie a una migliore preparazione e programmazione”.

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