Dopo undici anni dall’accaduto e sei dall’inizio del processo, arrivano quattro condanne in via definitiva per il furto di sabbia dal Po in località Boretto, provincia di Reggio Emilia. Vede la fine la vicenda dell’escavazione abusiva di sabbia dal fiume Po, nella quale Legambiente si è costituita parte civile. Dopo le sentenze di primo e secondo grado, tutti gli imputati sono sono stati condannati in Cassazione. Il reato ambientale è avvenuto nel 2003 quando quattro dipendenti delle aziende Bacchi di Boretto (Re) e Terracqua di Viadana (Mn) furono arrestati e processati per direttissima perché fermati in flagranza di reato dalla Polizia giudiziaria, appostata sulle rive del Grande Fiume.

I quattro, nella notte del 27 Novembre, estraevano sabbia (per un totale di 300 tonnellate) dall’alveo del fiume a bordo della moto draga “Franca B.”. Dopo undici anni dall’accaduto i quattro marinai vengono così condannati ad un anno e quattro mesi. Le aziende per le quali lavoravano non sono mai state coinvolte dal procedimento giudiziario. “Il ritardo della condanna è endemico alla giustizia italiana. Siamo comunque soddisfatti perché siamo arrivati in fondo, il rischio era quello della prescrizione e l’abbiamo evitato. Non risolve il problema alla radice, ma serve da monito” afferma Lorenzo Frattini, presidente di Legambiente Emilia-Romagna e membro del direttivo nazionale dell’associazione ambientalista. La sabbia del fondale del Po è materia preziosa per l’industria del cemento e, sin dagli anni del boom economico, fa gola a molti. In edilizia è usata nella produzione di svariati componenti strutturali, dal semplice laterizio all’impasto per il manto stradale. Le grandi opere italiane, in primis le autostrade, hanno fatto largo uso di questa risorsa; oggi viene utilizzata anche per la messa in opera dei basamenti su cui poggiano i binari dell’Alta Velocità. Ingente sfruttamento che ha portato, nel corso degli anni, ad una notevole riduzione della parte centrale del fondale del Po con il conseguente abbassamento del letto.

Il danneggiamento e deturpamento ambientale ha sempre una ricaduta anche in termini economici. L’escavazione abusiva in questo caso, da una parte provoca l’esborso per la modificazione degli impianti di pompaggio per l’irrigazione dei campi (una minor altezza dell’acqua necessita di impianti con “un pescaggio” più profondo), dall’altra la continua allocazione di fondi per interventi frequenti di manutenzione ponti. A questi si aggiunga il fatto che l’acqua, per effetto del canale centrale creato dalle escavazioni, in caso di alluvione tende ad acquistare velocità aumentando così la probabilità di esondazioni sui territori circostanti. È per queste ricadute devastanti, sia da un punto di vista ambientale che economico, che dal 1992 dragare sabbia dall’alveo del Po è illegale. L’estrazione, attualmente, è possibile unicamente in concessione nelle zone rivierasche e golenali. Questo tuttavia non ferma le escavazioni illecite. L’attività in Emilia Romagna è florida non solo per la facilità di reperimento della materia prima ma anche perché l’offerta risponde a un’importante domanda di mercato. Sebbene nella vicenda accaduta a Boretto non siano state rilevate ramificazioni di stampo mafioso, la domanda e l’offerta sono spesso gestite e controllate dalla criminalità organizzata. L’escavazione abusiva, legata al mondo mafioso o meno, rimane quindi un grave problema e altri, attualmente, sono i processi in corso: “In un altro caso facente parte dello stesso filone di indagine – afferma Frattini – non siamo stati accettati come parte civile; temiamo non ci sia molta volontà di arrivare fino in fondo al caso. Il Pubblico Ministero ha tergiversato”. La paura dell’associazione ambientalista è sempre quella della prescrizione: “Il rischio, in molti casi – continua e chiosa Frattini –, è che se non c’è una pressione esterna queste azioni vengono lasciate languire nelle stanze della procura”.

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