Qui non ci sono “carogne”, trattative  Stato-ultras e puzza di polvere da sparo. Qui c’è una storia di pallone, perché a chiamarlo calcio il senso cambia eccome. Soprattutto, c’è una città del Sud, con la sua gente e la sua squadra. Anzi. C’è una squadra che, trovatasi d’un tratto senza proprietario (fino a ieri, quando Gianluca Paparesta si è aggiudicato l’asta per il titolo sportivo), ha riconquistato l’unico, vero padrone: la città e la sua gente. Perché a Bari, prima dei fenomeni sul web e dei miracoli sul campo, è successo questo: che a marzo, dopo 37 anni (e almeno 20 di contestazione), un patron mai veramente amato, ha deciso di far fallire la sua creatura.

Ma il funerale è diventato matrimonio: è morto il Bari, è rinata la Bari. Perché per i tifosi la squadra è femmina e l’amore per i colori una cosa autentica. Scene da un manicomio. I giocatori, che fino a ieri lottavano per non retrocedere in Lega Pro, hanno inanellato una serie impressionante di risultati positivi: in 13 partite, due pareggi, una sconfitta e 10 vittorie (di cui le ultime cinque consecutive). Di più. Scene da un manicomio, atto secondo. Lo stadio San Nicola, che prima di Bari-Lanciano (8 marzo) a stento riusciva a raggiungere i duemila spettatori, dal match con gli abruzzesi è tornato a riempirsi di un entusiasmo inarrestabile: nelle ultime cinque gare, i paganti sono stati poco più di 160 mila. Polverizzati tutti i record del campionato di Serie B, nonché numeri da far invidia a molti club di A. Lunedì sera l’ultimo capitolo di un romanzo ancora da terminare: con il Cittadella erano in 36 mila, ma c’è chi giura che fossero ben oltre i 40 mila (l’arte del “portoghese”, nel tacco d’Italia, è ben praticata). E la Bari ha vinto, ancora una volta.

Corsi e ricorsi: nel 2002, proprio contro i padovani, il record negativo di paganti, appena 51. Tradotto: se andavi allo stadio con l’amante, rischiavi che tua moglie ti scoprisse perché le tv non potevano non inquadrare i pochi temerari che “affollavano” gli spalti. Altri tempi, specie ora che il San Nicola sembra quasi troppo piccolo. Eppure, nonostante festa e fasti, fino a ieri la Bari non la voleva nessuno.

I curatori fallimentari hanno fatto i salti mortali per gestire l’ordinaria amministrazione. A quella straordinaria ci ha pensato la città: i calciatori, senza neanche la possibilità di lanciare le maglie ai tifosi dopo le vittorie (magazzini vuoti e nessuna possibilità di nuovi acquisti), sono stati adottati da alcuni supporters-imprenditori: albergo pagato, collette per le trasferte in aereo (ma spesso anche in treno, che costa meno), cene e viveri offerti. Un fenomeno quasi sociale. Tanto che alcuni fruttivendoli, nei giorni più difficili e più belli, offrivano sconti su verdura e affini a chi si presentava in bottega col biglietto della partita successiva. Scene da manicomio, atto finale.

Ma il Bari continuava a non volerlo nessuno, anche con 40 mila paganti al seguito e a un passo da giocarsi la promozione (che sull’unghia garantirebbe fino a 20 milioni di euro in diritti tv). Semi deserta la prima asta per il titolo sportivo (l’ex arbitro Paparesta c’era, i soldi dei “suoi” indiani non proprio), deserta la seconda. A un passo dal baratro, il fenomeno sociale è diventato virale. Oltre 20 mila i selfie sulla pagina Facebook di #comprate-labari, trend topic su Twitter per giorni: da volti noti e meno noti, ex calciatori e giornalisti l’appello a salvare il Galletto. Una moda. E qualcosa si è sbloccato. Ieri la chiusura del cerchio, perché quella squadra, quei tifosi e quel sogno chiamato Serie A è diventato improvvisamente un affare. Dal nulla, sono spuntate tre cordate pronte a sborsare. Quattro con l’aggiunta del clan Paparesta, che dopo proclami e slogan in favor di telecamera ha deciso di agire nell’ombra. E ha avuto ragione.

Non ha fatto l’indiano: l’asta, la terza, se l’è aggiudicata lui. A 4,8 milioni di euro e dopo 13 rilanci. Alle sue spalle, si dice, la società irlandese MP & Silva, il cui business (ricavi da 600 milioni l’anno) deriva dalla commercializzazione dei diritti televisivi di sport in tutto il mondo. A quanto pare (dopo la scottatura iniziale, il riserbo rimane la regola) soldi e progetti veri, magari legati anche allo sviluppo dell’area del San Nicola, che nelle intenzioni del vecchio e del prossimo sindaco (si vota domenica) non sarà più cattedrale nel deserto, ma possibile fonte di guadagno. Paparesta sarà il presidente: ci ha messo faccia e impegno. Per il portafogli ripassare venerdì, quando ci sarà il rogito notarile e i nomi degli investitori dovranno per forza esser ufficializzati. Salvatore della patria esterovestito? Anche San Nicola, il patrono della città, veniva da Myra, Turchia. Che poi, per i non cristiani, il suo nome è legato al mito di Babbo Natale resta solo un dettaglio. Ma non ditelo ai tifosi del Bari.

Dal Fatto Quotidiano del 21 maggio 2014

Articolo Precedente

Giro d’Italia 2014, la corsa rosa dimentica il centenario della nascita di Bartali

next
Articolo Successivo

Giro d’Italia 2014, scatto di Rogers: 11esima tappa Collechio-Savona all’Australia

next