Non si può trattare l’omosessualità come una malattia”. Parla un ragazzo catanese, classe 1983, si chiama Sebastiano Riso e il suo primo film da regista l’ha portato a Cannes, in cartellone alla Semaine de la Critique: Più buio di mezzanotte, ispirato alla vita di Davide Cordova, in arte Fuxia, drag e fra i creatori del Mucca Assassina (in cantiere c’è il documentario Mukkathemovie), il celebre party LGBT di Roma. Sullo schermo rimane il nome, Davide (Davide Capone), che a 14 anni scappa da un padre violento che non lo accetta (Vincenzo Amato) e da una madre ipovedente, amorevole ma remissiva (Micaela Ramazzotti): si rifugia in un parco di Catania, Villa Bellini, con altri emarginati, la sua nuova famiglia.

C’è la Rettore e tanti ragazzi in fuga dall’omofobia e i suoi derivati: rubano, si prostituiscono – la domanda dei puppari è notevole – e sopravvivono. Davide non batte, ma cerca la sua strada: “Non è omosessuale, è effeminato”, dice Riso, mentre Fuxia ricorda le punture di ormoni che il padre gli faceva per cambiarlo, per cambiarla. “Non sapeva – aggiunge il regista – gestire un figlio femmina nel profondo Meridione d’Europa”, e nemmeno la madre ne esce indenne: “Non vedere l’omosessualità è un delitto: la sua cecità diviene una metafora”. Dunque, Villa Bellini, un’isola, ma non felice: segregazione, l’identità di genere rinchiusa in una gabbia. “Gli uomini sposati che vanno con i ragazzini, i puppari, a Catania ci sono da sempre: durante il fascismo al confino finirono in 65, oggi sono tollerati, a patto che non appaiano in pubblico. La notte cercano gli adolescenti, di giorno li vedi a braccetto con le mogli”.

Ma il problema, spiega Riso, non è questo: “L’omosessualità intesa quale malattia, questo è il problema. Ancora oggi quanti bambini si suicidano perché scoprono di essere omosex? Non è cambiato nulla, né in Sicilia né in Italia: la legge sull’omofobia non c’è, l’omosessualità è considerata un’esuberanza o il vezzo di grandi artisti. Tollerata, al massimo, non accettata”. No, il regista non ci sta, non si capacita che “a Roma ci sia una strada per i gay, ma che su altre strade gay, trans effeminati vengano insultati”, che “il presidente Crocetta sia gay, ma se non lo fosse sarebbe meglio”, che “un omosessuale dovrebbe essere come uno che nasce con gli occhi verdi o i capelli biondi, ma non lo è”.

Che fare? Coming out, dichiararsi, soprattutto se si è artisti, a loro modo intoccabili. Ne è certo Pippo Delbono, che di fronte “al tabù che l’omosessualità è ancora nel nostro Paese, forse per la religione, per la Madonna” sollecita a uscire allo scoperto colleghi come Renato Zero, “che magari omosex non è, ma deve parlare”. Nel cast di Più buio di mezzanotte c’è chi dissente: “La sessualità è una cosa privata, che sia omo o la relazione tra Clinton e la stagista deve rimanere tale”. Lo sostiene Vincenzo Amato, e Delbono s’incazza: “Sei come il padre del film! Io sono sieropositivo, e i sieropositivi sono le persone più controllate al mondo, ma la gente ne è terrorizzata. Il privato è politico, non parlare è una forma di fascismo culturale”. Nel frattempo, a Cannes passano i primi due film in Concorso: Timbuktu del mauritano Sissako, che prendendo dalla cronaca racconta – con qualche merito – le violenze degli islamisti nel Mali, e Mr. Turner di Mike Leigh, che non ha fatto impazzire solo i sudditi di Sua Maestà, ma i cinefili tutti. Portando sullo schermo “Il” pittore inglese, Leigh riesce nel miracolo: la sua art pour l’artiste Turner, affidato all’ingrugnatissimo, magistrale Timothy Spall. Applausi, in attesa de Le meraviglie italiane.

Dal Fatto Quotidiano del 16 maggio 2014

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