La sconclusionata pattuglia di artisti, para-intellettuali,cantanti arruolati dal nuovo conformismo che legge il passato senza alcuna differenza si è arricchito, ieri a Roma, di un nuovo fenomeno. Le iniziali, di nome e cognome, potrebbero essere confuse con uno degli ultimi intellettuali veri che questo paese ricorda ancora con una certa nostalgia: Paolo Pasolini. E invece, o tempora o mores, ci dobbiamo accontentare di Piero Pelù.

Articolando la propria riflessione politica al di sotto dei famosi 140 caratteri che fanno del cantante sostanzialmente un ermetico, Pelù ha voluto suggellare la sua performance con tre fondamentali accostamenti: Renzi e abusivismo di ruolo, Renzi e massoneria deviata e, infine, Giovanardi e cannoni (leggesi spinelli). Non poteva mancare la paccottiglia merceologica di mafia,camorra e ndrangheta che, alla pari di un bel paio di scarpe classiche nere, va bene per tutte le occasioni.

Ammazza! Che coraggio, che uomo, che sensibilità.

Ci si aspetterebbe da artisti e intellettuali un pensiero, minimamente, originale. Assistiamo inebetiti, al contrario, a forme di conformismo che avversano altre forme di conformismo. Ci si aspetterebbe da questi rocker locali un interesse un poco più approfondito di fenomeni sociali e culturali, politici che attraversando il nostro Paese dovrebbero, quanto meno, fare capolino anche nei loro pensieri.

La ritualità per cui il primo maggio e le feste correlate devono vedere contrapposti al potere un’immaginazione alternativa, credibile e convincente viene, ormai da troppi anni vanificata proprio dai bei tipi alla Pelù. L’abito non fa il monaco come si diceva un tempo ed anche l’abito da rocker maledetto con tanto di tatuaggi tribali di ordinanza del nostro, non fanno che confermare questo detto: dietro al pizzetto beffardo e al chiodo cattivo, si cela un borghesotto di provincia composto da placidi e soporiferi pensieri.

Tolti Silvano Agosti, Celestini e pochi altri lo stato dell’arte di intellettuali e artisti (presunti tali) rappresenta la povertà culturale del nostro bel Paese. Sono i cervelli a essere disoccupati, oltre che le persone. Ma la disoccupazione del pensiero pone una preoccupazione ulteriore: in presenza di una economia che, ci si augura, possa riprendere il suo normale corso, vane sono le speranze che, un giorno, si possa ascoltare dal palco, tra una canzone e l’altra, anche qualcosa di autentico, capace di rappresentare letture sociali che sappiano andare oltre la banale visione del bene e del male.

E invece di Ungaretti , becchiamoci gli ermetici di oggi. Pelù, ad esempio.

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