La parola whistleblowing non a tutti è nota, in poche parole riguarda la denuncia di illeciti da parte dei whistleblower. E chi sono i whistleblower? Enrico Ceci e Edward Snowden sono due esempi. Più in generale e in maniera più approfondita, il whistleblower è quel soggetto che, solitamente nel corso della propria attività lavorativa, scopre e denuncia fatti che causano o sono in grado di causare danno all’ente pubblico o privato in cui lavora o ai soggetti che con questo si relazionano (azionisti, pazienti, consumatori, cittadini). La denuncia può essere indirizzata al proprio superiore, ad organismi interni oppure all’ente regolatore esterno, all’autorità giudiziaria o ai media.

Uno dei maggiori punti di debolezza di chi commette illeciti penali, come la frode fiscale e la corruzione, è che spesso è necessario il coinvolgimento (anche involontario) di più persone. In questo senso, il whistleblowing rappresenta lo strumento meno costoso e più efficace per sfruttare questa debolezza, insita soprattutto negli enti, pubblici e privati, che commettono illeciti.

Una precisazione, da molti ignorata: il whistleblower non è un delatore, non è una spia, non è un criminale, non è una talpa e nemmeno un roditore. Questi termini hanno tutti una connotazione negativa e non esiste ad oggi una traduzione adeguata del termine inglese. Nel Regno Unito, dove il whistleblowing è stato riconosciuto dal legislatore già nel 1998, i sondaggi indicano che il 72% dei lavoratori inglesi considera il termine in maniera positiva o neutrale. Un dato ancor più interessante è che negli Stati Uniti gli studi e le statistiche mostrano che gli incentivi economici sono stati in grado di aumentare, in maniera significativa, la quantità e anche la qualità delle denunce. I maggiori requisiti richiesti al fine di ottenere la ricompensa spingono infatti i whistleblower ad approfondire le condotte sospette e a raccogliere maggiore documentazione. Con riferimento al False Claims Act, e in particolare alle frodi a danno del governo americano scoperte grazie alle segnalazioni dei whistleblower (anche detti relator), gli Stati Uniti hanno recuperato oltre 24 miliardi di dollari fra il 1988 e il 2012, con incrementi annuali tendenzialmente costanti fino ad arrivare alla quota di circa 3,4 miliardi di dollari recuperati nel 2012.

Ad alcuni potrebbe sorgere spontanea la classica domanda: perché premiare una persona che ha adempiuto ad un obbligo morale (denunciare un illecito penale) e incentivare così una logica opportunistica? I fortissimi rischi economici, di carriera e di salute a cui va incontro il soggetto che denuncia condotte illecite sono talmente estesi e di difficile quantificazione che coloro che parlano di opportunismo potrebbero sembrare opportunisti a loro volta. Come se avessero paura che prima o poi oggetto della denuncia possa essere un loro comportamento. La verità è che molti whistleblower mettono in gioco le certezze della loro vita: vengono licenziati o subiscono atti ritorsivi che li spingono a dimettersi, cadono in depressione perché non trovano un altro lavoro, perdono la casa e le relazioni maturate negli anni, alcuni rischiano persino la propria vita. Ma a prescindere da ciò, nel momento in cui la denuncia di un illecito sia idonea a tutelare un interesse pubblico (ipotizziamo il caso di una denuncia relativa alla commercializzazione di farmaci dei quali non vengono resi noti i probabili gravi effetti collaterali), il whistleblowing costituisce un atto moralmente giusto anche se la persona che segnala l’illecito lo fa per l’incentivo economico, per vendetta, per eliminare un concorrente o, più verosimilmente, per non trovarsi complice degli illeciti scoperti. Gli incentivi economici potrebbero essere ulteriormente giustificati dal fatto che diminuiscono il numero di persone che prendono la decisione moralmente sbagliata di non denunciare un illecito. Nello stesso senso, al legislatore non dovrebbero interessare i motivi alla base della denuncia, ma soltanto che la segnalazione relativa a condotte illecite sia vera e corretta in base ad un ragionevole convincimento.

Ma fermiamoci un attimo e proviamo a farci questa domanda: che interesse ha una classe politica corrotta, che è sostenuta da imprese criminali, a introdurre un sistema che sia in grado di far venire alla luce i suoi stessi reati?

Proviamo con un’altra domanda, meno retorica: i cittadini, che interesse hanno ad avere un sistema di whistleblowing di tipo americano? Potrebbero realizzare un sogno: liberarsi da coloro che si sono dimostrati più volte incapaci di rispondere alle loro necessità e recuperare, è bene sottolinearlo, ampie risorse da ridistribuire in favore delle reali esigenze del Paese.

Bisogna diffidare di coloro che sostengono di operare esclusivamente nell’interesse altrui. Chi si batte sinceramente per una società migliore non lo fa per gli altri, ma per sé e per i propri cari, perché aspira a vivere nella società che sogna”. Così ha fatto Enrico Ceci, così ha fatto Edward Snowden, così hanno fatto molti altri whistleblower, compresi quelli che hanno ricevuto (giustamente) una ricompensa. La possibilità di conciliare l’interesse personale con l’interesse pubblico esiste, ma chi è al potere è naturale non se ne preoccupi. Sarebbe un suicidio.

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