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Napoli, dipendenti in cassa integrazione ma costretti a lavorare in nero per l’azienda

Il racconto di Francesco, ex postino per una azienda che lavora con Poste Italiane: "Dall’ottobre 2011 saremmo entrati in cassa integrazione a rotazione. Ma di rotazione non c’è nulla. Venti di noi sono completamente fermi, gli altri venti continuano a fare le consegne secondo il regolare orario di lavoro. Ma a pagare è l'Inps. In busta una sola ora al giorno di lavoro ‘in chiaro’"
Napoli, dipendenti in cassa integrazione ma costretti a lavorare in nero per l’azienda
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Lo chiameremo Francesco, anche se il suo vero nome è un altro. Francesco racconta a ilfattoquotidiano.it l’ultima frontiera delle truffe allo Stato: lavoratori in cassa integrazione a zero ore, costretti a sgobbare in nero per la stessa azienda che usufruisce dell’ammortizzatore sociale. Così l’impresa non paga stipendi e fa ricadere sul pubblico il costo del lavoro mentre continua a incamerare il ricavato dell’appalto. Succede nella provincia di Napoli. In quel vasto conglomerato di affollate città che sfiorano il capoluogo partenopeo, tra Marano, Giugliano, Pozzuoli e Torre del Greco

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Francesco è un dipendente di una ditta titolare di un appalto per Poste Italiane, con il compito, tra l’altro, di consegnare raccomandate per l’Agenzia delle Entrate e per Equitalia: “Siamo una quarantina di lavoratori, e dall’ottobre 2011 saremmo entrati in cassa integrazione a rotazione. Ma di rotazione non c’è nulla. Venti di noi, come me, sono completamente fermi, gli altri venti continuano a fare le consegne secondo il regolare orario di lavoro, dalle 7.30 alle 12.30 sei giorni a settimana. Nella loro busta paga, però, risultano 80-100 ore di cassa integrazione al mese. E una sola ora al giorno di lavoro ‘in chiaro’”.

Un’ora fondamentale per assicurare la regolarità delle notifiche di atti con valore legale, come le raccomandate degli studi forensi e le cartelle esattoriali. Per un po’ anche Francesco ha partecipato a questo meccanismo: “Non ci sono altre prospettive, si resta aggrappati al posto come si può”. Il padrone, però, preferiva avere a che fare con lavoratori non iscritti ai sindacati. E ha preferito lasciarlo a casa.

Nel frattempo la commessa si è ridotta. “L’azienda faceva consegne per quattro comuni, poi Poste Italiane ha internalizzato le consegne a Pozzuoli e a Torre del Greco, assumendo persone con contratti trimestrali, e ha lasciato le consegne tra Marano e Giugliano, eseguite però anche grazie all’utilizzo di personale proveniente da un’altra ditta privata, che non si è aggiudicata l’appalto ma è riconducibile alla stessa proprietà”.

E se il presente è grigio, il futuro si prospetta nero. “L’appalto dovrebbe scadere a dicembre 2013. Rischiamo di andare tutti in mobilità”. Nel frattempo come campate? “Con il 40% in meno di un già magro stipendio di 900 euro circa, questo tocca a chi sta in cassa integrazione, va solo un pochino meglio a chi lavora in nero, quell’ora di lavoro al giorno ‘in chiaro’ fa guadagnare qualche banconota in più”. Va aggiunto che l’azienda non fornisce i mezzi di trasporto e impone ai dipendenti di utilizzare i loro scooter. Spese di benzina e manutenzione, ovviamente, finiscono per ricadere sui ‘postini’ e non vengono rimborsate. Ad una decina di loro sono stati sequestrati i ciclomotori perché privi di copertura assicurativa. Una situazione paradossale. Lavorare in nero truffando lo Stato a bordo di motorini senza assicurazione. Mentre le visite degli organi di controllo sarebbero finite in un nulla di fatto. “La Guardia di Finanza si è presentata una mattina alle 10 – afferma Francesco – quando gli uffici sono vuoti perché le consegne sono in corso”. Il consigliere regionale Corrado Gabriele, già assessore regionale al Lavoro in una giunta Bassolino, ha scritto al Prefetto sollecitando un intervento dei carabinieri dell’Ispettorato del Lavoro.

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