La battaglia dei referendari, capitanata dal comitato Articolo 33, il nome a richiamare la Costituzione italiana là dove stabilisce che “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”, è iniziata due anni fa, nel 2011. Ora l’impresa rischia di arenarsi in consiglio comunale con il partito democratico che chiede di votare per il mantenimento del sistema di finanziamento integrato. I ‘marziani’, come sono stati definiti dall’assessore democratico Matteo Lepore gli attivisti per la scuola pubblica, di problemi ne hanno affrontati tanti. Problemi burocratici, più che altro, legati all’ammissibilità del referendum consultivo stesso, ricevuta solo il 24 luglio 2012, e dopo vari tentativi, dal comitato dei garanti del Comune di Bologna.

Il 7 settembre, il comitato avviò quindi una massiccia raccolta firme, necessaria affinchè la consultazione potesse essere indetta e in tre mesi, entro i termini stabiliti dallo Statuto, Articolo 33 riuscì ad ottenere ben più delle 9.000 firme richieste dalla norma: firmarono 13.500 bolognesi, il 50% in più del necessario. Il sindaco Virginio Merola, che nel corso della campagna si era schierato nettamente a favore dell’opzione ‘B’, quella per il mantenimento della convenzione che oggi devolve quasi un milione di euro l’anno alle scuole d’infanzia paritarie private, per la maggior parte confessionali, scelse di non indire il referendum, però, in concomitanza con le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio scorso, quindi, la data fissata fu il 26 maggio. Il giorno in cui l’accesa campagna pre – consultazione, che rischiò di spaccare in due la maggioranza di Palazzo D’Accursio quando Merola definì “vergognoso” l’intervento di Nichi Vendola in favore dei referendari, si concluse.

A sfidarsi due schieramenti sensibilmente distanti: la ‘B, ‘Golia”, capitanata appunto dal primo cittadino, che aveva ricevuto l’appoggio della Curia, del Pdl, della Lega Nord, di Confindustria “e di tutti gli apparati dell’estabilishment cittadino”, per usare le parole del direttore di MicroMega, Paolo Flores D’Arcais. E la ‘A’, “Davide”, che aveva conquistato il sostegno di scrittori, scienziati, musicisti, attori: aderirono all’appello dell’ex candidato alla Presidenza della Repubblica Stefano Rodotà, presidente del comitato Articolo33, alcune tra le personalità più rappresentative della penisola, da Francesco Guccini a Margerita Hack, da Moni Ovadia a Gino Strada, a Paolo Nori, a Ivano Marescotti, solo per citarne alcuni. Tanto che, manifestazione dopo manifestazione, il numero dei marziani, sostenuti in consiglio comunale solo da Sinistra Ecologia e Libertà, e dal Movimento 5 Stelle, ha continuato a crescere.

E nonostante il maltempo, all’ultima danza per la scuola pubblica, celebrata sotto un cielo plumbeo e piovoso lo scorso 24 maggio, parteciparono oltre 200 persone. Tutte radunate sotto al palco allestito in Piazza Maggiore, sotto agli ombrelli colorati aperti a tenere lontana la pioggia, per ascoltare le parole di Paolo Nori e Marescotti, in prima fila per chiedere a Bologna “di difendere la scuola pubblica”.

“Sono venuto tante volte a Bologna, nei momenti belli della città meglio amministrata d’Italia e nel momento in cui il terrorismo l’ha sbranata, ogni anno presente: come è possibile che ci chiamino marziani? – si chiedeva quella sera l’attore e scrittore Moni Ovadia, sul palco prima di partire per andare a salutare un’ultima volta un amico, Don Andrea Gallo, scomparso il 22 maggio scorso – Siamo tutti un po’ bolognesi. I padri costituenti sarebbero qui con noi, su questo palco, perché è una questione di civiltà. Io che da bambino ho fatto la scuola ebraica parificata, così decisero i miei genitori, dico che il nostro interesse è che ci sia la scuola pubblica di eccellenza, voluta e difesa dalla Costituzione. Sono loro che vogliono privatizzare l’esistenza dei cittadini. Non siamo qui per impedire ai bimbi di andare a scuola, ma perché preservando la scuola pubblica difendiamo la libertà di scelta”.

Ma quell’ultima danza, in realtà, non é stata affatto l’ultima. Vinto il referendum, votanti 85.934, il 28,71% della popolazione, favorevoli all’abrogazione della convenzione 50.517 bolognesi, il 58% dei votanti, Articolo 33 si è radunato in piazza più di una volta per chiedere al sindaco “di tenere conto del risultato della consultazione”. Perché prima e dopo la sconfitta dell’opzione ‘B’, Merola era stato chiaro: “come Sindaco il mio dovere è tenere conto di questa posizione e ribadire che il sistema pubblico e integrato funziona e funziona bene”. Articolo33, quindi, la guardia non l’ha abbassata.

Il 26 giugno, a un mese esatto dalla consultazione, una ventina di post it umani si sono dati appuntamento nel cortile di Palazzo D’Accursio per “ricordare, prima di tutto a Merola, impegnato a sostenere l’opzione B e a salvare la convenzione, cos’hanno decretato con il proprio voto i cittadini”. Poi, il 19 luglio, tre giorni prima che il consiglio comunale di riunisse per pronunciarsi sull’esito del referendum, come prevede lo statuto, un centinaio di arrivisti del comitato si sono alternati in una staffetta lunga 72 ore, divenendo “statue umane” ferme a “vegliare” sulla decisione dell’amministrazione cittadina.

Il consiglio, il 22 luglio, però, non si é espresso. Ma la posizione del Partito Democratico, che a Bologna ha dato il primo cittadino, era già apparsa chiara attraverso quell’ordine del giorno presentato dal capogruppo Francesco Critelli. Un ordine del giorno per mantenere “l’attuale sistema pubblico integrato”, compresa “l’erogazione delle risorse finanziarie comunali destinate al supporto delle scuole paritarie convenzionate” che ha scatenato l’indicazione dei referendari seduti in fondo all’aula, che ai democratici hanno gridato “vergogna”. “La priorità – ha dichiarato in aula Critelli – è assicurare al maggior numero di bambini l’accesso alle scuole dell’infanzia. Modificare la convenzione, secondo noi, non porta a un aumento dell’offerta formativa, ma a un decremento complessivo. E le scelte dell’amministrazione non possono basarsi solo sull’enunciazione di principi. Ci impegnamo però ad avviare apposite discussioni consiliari per verificare i dati di attività e i risultati dell’andamento delle convenzioni, valutando assieme alla giunta aggiornamenti e miglioramenti degli indicatori” espressi nella delibera. “Il Pd abbandona il suo popolo – é stata la risposta di Sel – media con tutti e su tutto, dal salvataggio di Alfano alla riduzione delle tutele dell’articolo 18, ma non con il suo popolo che si è espresso attraverso il referendum”.“I cittadini non ci hanno chiesto di controllare l’andamento delle convenzioni, come suggerito dal Pd, ma ci hanno chiesto di destinare tutte le risorse disponibili alla scuola pubblica” é stata invece la stoccata del M5S. I soli ad aver sostenuto il fronte ‘A’ in consiglio comunale.