La genealogia dei concetti, la storia del calcio e, più in particolare, quella di due squadre alternative come Inter e Juventus sono strettamente intrecciate. Il punto di partenza di questo intreccio concettuale si può ritrovare nell’interconnessione tra dimensione giocosa e dimensione sacrale.

E’ indispensabile tener presente che la maggior parte dei giochi conosciuti e, dunque, anche il calcio, deriva da antiche cerimonie sacre, da rituali e pratiche divinatorie che un tempo erano di competenza dell’ambito religioso. Per esempio, alle origini, il girotondo era un semplice rito matrimoniale, giocare con la palla, invece, rappresentava la competizione degli dei per il possesso del sole, mentre i giochi d’azzardo derivano da pratiche oracolari e la scacchiera rappresentava uno strumento di divinazione.

L’interpretazione più sottile della relazione tra giocosità e ritualità è stata compiuta da Émile Benveniste, che ha chiarito come il gioco, pur provenendo dalla sfera sacra ne costituisca in qualche misura anche il capovolgimento. Se la potenza dell’atto sacro risiede nel coniugare mito narrante e rito riproducente, il gioco lacera questa unità: come ludus, o gioco di azione, esso lascia cadere il mito conservando il rito; come Jocus, invece, ossia come gioco di parole, cancellando il rito lascia sopravvivere il mito. Con Benveniste: “Se il sacro si può definire attraverso l’unità sostanziale del mito e del rito, potremmo dire che si ha gioco quando soltanto una metà dell’operazione sacra viene compiuta, traducendo solo il mito in parole e solo il rito in azioni.”

Da questa polarità concettuale Giorgio Agamben mutua il concetto di ‘profanazione’: l’atto della profanazione implica il passaggio da una forma di credenza, ormai percepita come falsa e oppressiva, a una forma di negligenza che rende invece più autentica la credenza stessa.

A questo punto dell’argomentazione di Agamben entra in scena una seconda polarità concettuale, quella fra secolarizzazione e profanazione. Se la secolarizzazione è “una forma di rimozione che lascia intatte le forze”, la profanazione, invece, “implica una neutralizzazione di ciò che profana”. Si tratta, in entrambi i casi, di un’operazione politica: mentre la secolarizzazione ha a che fare con l’esercizio del potere, la profanazione, disattivandone i dispositivi, restituisce all’uso comune gli spazi che il potere aveva di fatto confiscato.

Secolarizzazione e profanazione sono una coppia concettuale che può trovare compiutamente un terreno d’applicazione nelle due squadre alternative per eccellenza: la Juventus sta alla secolarizzazione come l’Inter alla profanazione.

Se la secolarizzazione distrugge l’essenza stessa del gioco, appiattendosi nell’omogeneità più radicale, la profanazione, diventando il compito ‘politico’ del nostro tempo, restituisce dignità al calcio come ad ogni altra dimensione competitiva e innocente. Se le epoche della Juventus rappresentano la sanzione estrema della secolarizzazione, le epoche dell’Inter, molto più circoscritte ma intense e pregnanti, definiscono la profanazione.

Il quinquennio interista (2006-2010) ha segnato il momento culminante della profanazione, scandito, non a caso, dalle lamentazioni di tutti i nostalgici della secolarizzazione, che sono tornati d’attualità negli ultimi due anni con la ripresa juventina.

Ma gli araldi della nuova profanazione sono già all’opera….

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