Quanto siamo consapevoli dei cibi che acquistiamo, di quello che mettiamo nel carrello quando facciamo la spesa?

La confezione che ho davanti strilla “linea nutriceutica”. “IG < 35 a basso indice glicemico” “con antiossidanti SELENIO e ZINCO”. “Senza zuccheri aggiunti*” “*contiene naturalmente zuccheri derivanti dalla frutta e dal malto d’orzo”. Sembra quasi una confezione di un prodotto da farmacia e invece l’ho comprato in un supermercato. Sono biscotti ripieni ai mirtilli e frutti rossi ma sembra più un integratore alimentare.

Negli ultimi decenni l’industria alimentare ha scoperto che, per differenziare due prodotti identici, basta aggiungere una sostanza che il consumatore ha imparato a identificare come «benefica» e pubblicizzarla sulla confezione. A volte viene strombazzata sull’etichetta anche quando è presente naturalmente nell’alimento. Ecco perché è sempre più comune trovare sugli scaffali cibi che dichiarano di contenere omega 3, fitosteroli, polifenoli, antiossidanti, vitamina D, selenio, ferro e chi più ne ha più ne metta.

La tivù e le riviste ci bombardano ogni giorno con notizie sulla bontà e l’efficacia di una data sostanza contro questa o quella malattia. Non sempre però queste presunte proprietà taumaturgiche sono comprovate dalla ricerca scientifica. Inoltre, ci si dimentica spesso di specificare la quantità quotidiana necessaria per ottenere l’effetto sperato. La diffusione di rubriche dedicate alla medicina, al benessere, alla nutrizione, con qualche strizzata d’occhio alla cucina cosiddetta «sana», ha ormai fissato nella mente del consumatore una serie di «impressioni» indelebili. Sappiamo che gli omega 3 sono grassi che, strano a dirsi, non fanno male come gli altri. Anzi, fanno addirittura bene. E come facciamo a saperlo? Abbiamo letto un articolo sulla tal rivista che riportava il caso di quello studio svedese, o forse era giapponese… E poi l’ha detto anche un famoso dietologo in tivù. Ma quanti benedetti milligrammi al giorno di omega 3 dovrei assumere perché svolgano la loro funzione? E qual è esattamente la loro funzione? È difficile rispondere a queste domande senza avere una laurea in medicina. Ed è proprio su questo che gioca l’industria alimentare per differenziare i suoi prodotti. 

Molti sono già convinti che gli omega 3 facciano bene. Non c’è bisogno di perdere altro tempo. Basta scrivere sull’etichetta che il tal prodotto li contiene ed è fatta: è il consumatore ad attribuire loro una serie di virtù positive, senza chiedersi se la quantità sia sufficiente a garantire i benefici sperati. A volte lo è, altre volte no, ma purtroppo è il consumatore che deve prendersi la briga di verificare che cosa c’è dietro l’espressione «omega 3», presentata come una formula magica. Un po’ come il tè verde, che si mette dappertutto, pure nei detersivi, perché la sua sola presenza, anche in tracce del tutto trascurabili dal punto di vista biologico, è in grado di spingere qualche consumatore in più ad acquistare il prodotto.

Certi scaffali del supermercato espongono prodotti con etichette più adatte a un bancone di farmacia che a un negozio di alimentari. Intendiamoci, ciò che mangiamo è importantissimo per mantenere in funzione e in buona salute il nostro corpo, oppure per causarci malattie anche gravi. Con ogni boccone ingeriamo un numero incredibile di sostanze chimiche diverse, in varie quantità. Ciascuna molecola che assumiamo può avere un effetto positivo o negativo sul nostro organismo, a volte contemporaneamente, ed è per questa ragione che gli studi sugli effetti del cibo sulla salute sono così numerosi.

Tuttavia non esiste un singolo cibo miracoloso, anche se addizionato di tutti gli integratori conosciuti, che da solo possa rimettere in funzione il fegato, eliminare il gonfiore o garantire qualsiasi altro effetto pubblicizzato sulla confezione.

Noi consumatori ci dovremmo fidare delle dichiarazioni di un produttore il cui unico scopo è quello di convincerci a comprare la sua merce? Ovviamente no. Ad esempio, per quel che riguarda il selenio, in Italia, come nel resto d’Europa, non sembrano esserci situazioni endemiche di carenza da selenio. Nel 1989 uno studio pubblicato dall’Istituto superiore di sanità ha rivelato che gli italiani ne assumono a sufficienza attraverso la dieta [A. Stacchini, E. Coni, M. Baldini, E. Beccaloni, S. Caroli, Selenium intake with diet in Italy: a pilot study., Journal of trace elements and electrolytes in health and disease3, 193–8 (1989)].

I ricercatori confermano che i prodotti ittici ne sono particolarmente ricchi, ma anche le uova e la carne, pur se in misura minore. Così come i broccoli e le cipolle. Se avete una dieta variata e bilanciata non dovreste preoccuparvi di integrare i vostri pasti con del selenio aggiunto.

Insomma, quando un prodotto dichiara, a volte in modo molto indiretto, di possedere proprietà salutistiche, sarebbe il caso di informarsi prima di sborsare quei soldi in più, pochi o tanti che siano.

Una mattina mentre facevo la spesa ho pensato che il consumatore sa veramente poco di quello che mette nel carrello. Ho quindi deciso di raccontare la storia di alcuni prodotti, di spiegare alcuni trucchi che il marketing sfrutta per venderci vari alimenti, di illustrare in quanti modi siamo influenzati quando spingiamo un carrello e come possiamo difenderci. Sapete che il Kamut è in realtà un marchio registrato e non è “l’antico grano dei faraoni”? Che ci sono prodotti che l’etichetta descrive come a “chimica zero” ma che contengono nitriti (dei conservanti), però “naturali”? Che lo stesso vino fatto degustare in cieco ad assaggiatori viene apprezzato molto di più se si dice che costa 45 dollari la bottiglia e molto di meno se si dice, come è realmente, che costa solo 5 dollari? Che la mozzarella di bufala che acquistiamo potrebbe non essere tutta fatta con il latte di bufala? E che la biodinamica è una agricoltura biologica con in più l’uso obbligatorio di inutili pratiche esoteriche e preparati come i fiori di achillea lasciati fermentare per i mesi invernali nella vescica di un cervo che grazie alle sue corna richiama le forze astrali e le concentra nell’achillea?

Queste e altre storie racconto nel mio ultimo libro: Le bugie nel carrello, edito da Chiarelettere. Parlando di alimenti addizionati con integratori ho scelto, come rappresentante della categoria, le famose “patate al selenio”, quelle che “fanno diventare intelligenti” (come diceva la pubblicità che potete vedere qui). E no, consumare queste patate non vi aiuteranno nel migliorare le prestazioni del vostro sudoku domenicale.

Tornando ai biscotti con zinco e selenio di cui parlavo sopra, ma son buoni? Il commento di mio figlio è stato lapidario: “sanno di cibo per cani”. La lista degli ingredienti non è proprio da gourmet: “oli e grassi vegetali”, “maltitolo”, “fibra di bambù”, “estratto di malto d’orzo”, “zinco gluconato”,”selenito di sodio”. E costano pure un botto. Mangiando regolarmente varie frattaglie (fegato, rognone, ecc.) particolarmente ricche di selenio e tanti broccoli e cipolle in quanto a selenio dovrei essere a posto. E non si capisce perché dovrei sostituire dei grassi saturi gustosi (il burro che mangio saltuariamente) con dei grassi di origine ignota, probabilmente altrettanto saturi, ma gastronomicamente scadenti.

Mi sa che ora esco per andare a comprarmi dei normali frollini con il burro e con lo zucchero (che il maltitolo è pure lassativo).

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