Nel 2003 il Circolo Mario Mieli di Roma ci chiese di essere i testimonial del Gay Pride. Per noi fu un onore e un riconoscimento professionale enorme.

Ricordo che le manifestazioni si dividevano tra estremamente folcloristiche/ironiche e incredibilmente commoventi. In particolare non dimenticherò mai un grande gruppo di persone, uomini e donne che silenziosamente – sotto il sole cocente di un caldissimo luglio romano – sfilavano dietro uno striscione con scritto: “Mamme e Papà di ragazzi gay e ragazze lesbiche“.

Ero diventato padre da un paio di mesi. Mia figlia era in carrozzina. Dal lato di una strada si avvicina un uomo adulto che mi guarda e mi fa: “Si vede che tu non sei come loro…ma a te che te frega? ‘Sto Paese ha bisogno di padri, non di froci”.

Se volete sapere la mia risposta andata alla fine del post.

Torno a parlare di questo argomento perché mi ha molto impressionato il dibattito che si è scatenato dopo il mio ultimo articolo. In particolare, mi hanno colpito i messaggi di chi (nel 2013…cazzo), indica gli omosessuali come persone che non devono avere accesso ai più elementari diritti civili.

La cosa che davvero mi sfugge è: che cambia, soprattutto cosa si sottrae ad una coppia di eterosessuali se una coppia di gay o di lesbiche ufficializza la propria unione?

Qualcuno me lo deve spiegare.

E se siete tra quelli che hanno una risposta benpensante, beh, c’è una novità: avete torto. In barba a frasi fatte e atteggiamenti “politicamente corretti”, non rispetto la vostra opinione.

La patetica scenetta dei due esponenti padovani del movimento “Fratelli d’Italia fotografa quanto ancora ci sia da dire (e soprattutto da fare) sulla discriminazione nei confronti dei gay. Prima che lo faccia notare qualcuno: sì, anche noi abbiamo parodiato la scena dei ragazzi gay che – con i cartelli – raccontavano il loro viaggio a New York per sposarsi. Ma noi finivamo con l’augurio a tutti coloro che in Italia aspettano una legge di avere presto regole che permettano di ufficializzare e proteggere un amore.

Ho vissuto direttamente una storia assurda, di sicuro simile a migliaia di altre: un mio amico malato di tumore raggiunge lo stadio terminale e al suo compagno di vita (erano stati insieme 11 anni) è vietato entrare nella stanza d’ospedale per un ultimo saluto, “perché non facente parte della sua famiglia”. Per fortuna alcuni dottori italiani sono più avanti di alcuni incivili leggi italiane.

Ma poi c’era la casa. E lo Stato. Quel fidanzato non sarebbe neanche potuto entrare nella casa che aveva diviso con il suo fidanzato per recuperare le sue cose.

Dov’è la civiltà? Come si può pensare: ma a me, che mi frega?

Ed ecco la fine della storia.

Guardo il signore e, con una prontezza che poche volte nella vita ti aiuta a trovare risposte così, dico: “Questo Paese ha bisogno di buoni padri, non semplicemente di padri. Per questo, mi auguro con tutto il cuore che lei non abbia figli”.

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