Cambiare molto, cambiare piano. Chi governa la Chiesa, che Benedetto XVI rappresenta, non vuole isterismi né tensioni. Non mancano, e s’è visto. I cardinali che comandano, e che sostengono Tarcisio Bertone (segretario di Stato), accettano le intenzioni del pontefice. Aiutano il papa e aiutano se stessi: entro il 15 dicembre, Paolo Gabriele riceverà la grazia e potrà lasciare la cella incastonata nel palazzone dei gendarmi.

L’ex maggiordomo è stato condannato a 18 mesi di reclusione per furto, il suo avvocato non ha presentato appello e nessuno s’aspettava il rientro in prigione dopo la custodia cautelare. Gabriele non ha collaborato sino in fondo, dicevano gli inquirenti che cercano documenti e lettere riservate trafugate dall’appartamento papale. Ma prima di finire le ricerche intorno al maggiordomo, il Vaticano ha cominciato la bonifica proprio in casa di Benedetto XVI.

Come anticipato mesi fa, e come confermato ieri dal Fatto, padre Georg Gaenswein, l’assistente personale di Joseph Raitzinger, sarà promosso vescovo e poi rimosso. Per la serie, anche questa intuitiva: non poteva non sapere, non poteva condividere l’ufficio con il maggiordomo e non accorgersi che passava il tempo a fotocopiare materiale incandescente per i rapporti diplomatici dentro e fuori le mura leonine. Anche monsignor James Michael Harvey ha incassato un bel foglio di via: abbandona il ruolo di prefetto della “Casa pontificia”, cioè il responsabile di quelli che circondano il papa (incluso il maggiordomo), e assume l’incarico di arciprete (da cardinale) per la Basilica di San Paolo a Roma. Due pratiche sono sigillate, ecco che tocca a Gabriele. I familiari hanno rivelato che già in estate, mentre procedeva l’inchiesta dei gendarmi, a Paoletto fu consegnato un libro con un messaggio di perdono di Benedetto XVI.

La grazia papale era una questione di tempo, e anche di lotte interne e di ennesime verifiche per evitare nuovi danni. Il percorso è completo, e Gabriele tornerà libero prima di Natale. A due condizioni, però: avrà un lavoro presso un istituto legato al Vaticano, ma distante chilometri dalla Santa Sede e avrà anche un’abitazione a disposizione con lo stesso criterio geografico. Non è soltanto clemenza papale, qui c’è di mezzo un potenziale esegeta di centinaia e centinaia di fatti e carte che coinvolgono la Chiesa, che Gabriele ha fatto pervenire all’esterno e che potrebbe raccontare poiché li ha vissuti in prima persona e sempre accanto a Benedetto XVI. Il maggiordomo ha spiegato che il suo comportamento non aveva ragioni economiche, non ha mai preso un euro per l’opera d’informazione, ma lo faceva perché disgustato: “La situazione generale mi sconcertava”. Il Vaticano, per furbizia, non ha voluto approfondire i contatti di Gabriele, ansioso di sotterrare una vicenda planetaria. Ma nemmeno poteva mollare, senza uno stipendio e senza un tetto, l’ex maggiordomo. Il silenzio e il perdono, non per caso, riscuotono successo da millenni.