Nel 2007 hanno presentato una proposta di legge popolare per rendere di nuovo pubblica la gestione dell’acqua. Quattrocentomila firme rimaste a prendere polvere in Parlamento. Nel 2011 hanno portato al voto la maggioranza degli italiani con un referendum che chiedeva di eliminare i profitti dell’acqua e di ripubblicizzarne la gestione. A parte casi isolati (Napoli ad esempio), dopo un anno e mezzo davvero poco è cambiato.

Ora i comitati per l’Acqua Bene Comune di tutta Italia ci riprovano, scendono in piazza, e reclamano a gran voce il rispetto dell’esito referendario. Questa volta non a Roma, come sarebbe stato prevedibile, ma a Reggio Emilia. Il motivo? “Vogliamo che Reggio Emilia sia come Berlino e Parigi – spiega uno degli organizzatori, Tommaso Dotti – La capitale francese, sede delle maggiori multinazionali dell’acqua, ha deciso nel 2009 di ripubblicizzare la gestione del servizio idrico. L’affidamento della gestione del servizio idrico a Iren è in proroga da più di un anno. E’ il momento di prendere una decisione sul futuro dell’acqua nella nostra provincia. Chiediamo al nostro sindaco Delrio di rispettare la volontà popolare”.

Per questo hanno sfilato in mille, attraversando il centro città con un corteo festoso e colorato di azzurro. Dietro al furgoncino con le bandiere dell’acqua, un lunghissimo striscione portato da 45 donne e uomini con fascia tricolore, tanti quanti i sindaci di tutta la Provincia di Reggio. “Ogni sindaco porta al collo un cartello con le percentuali record di affluenza al voto per il referendum sull’acqua”. Arrivati di fronte al Municipio i manifestanti hanno chiesto come regalo di Natale la ripubblicizzazione del servizio idrico e appeso al grande albero di Natale della piazza le loro bandiere azzurre. “Reggio sia la prima città italiana assieme a Napoli dove l’acqua sarà finalmente bene comune, dopo seguiranno tutte le altre. I drappi azzurri sull’albero ricorderanno a chi ci amministra il nostro voto”. In concreto per Reggio Emilia (e per Piacenza, altra città dove la concessione è scaduta e dove Iren non riesce ad assicurare gli investimenti programmati) vorrebbe dire lo scorporo del ramo d’azienda di Iren che gestisce il ciclo idrico e la sua successiva trasformazione in un’azienda di diritto pubblico.

“Capisco sia un’operazione complessa – spiega una manifestante arrivata da Torino – ma dopotutto è quello che 27 milioni di italiani hanno chiesto alla politica. Vogliamo solo il rispetto della volontà popolare. E’ troppo?” Una richiesta che chiama in causa il democratico Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia e presidente dell’Anci. Ma anche tutto il Pd emiliano romagnolo, che da sempre governa la regione “rossa” e che si è scontrato con i propri alleati quando si è trattato di votare sulla fusione tra Hera e Acegas-Aps. Un’operazione che ai comitati referendari non è piaciuta affatto, “perché crea una maxi azienda ingestibile dai piccoli Comuni che ne sono azionisti, e perché allontana la gestione idrica dai cittadini e dagli enti locali. Nei fatti un tradimento della volontà referendaria”.

Sotto accusa anche la forma giuridica delle società che gestiscono il ciclo idrico, in Emilia Romagna le spa Hera e Iren. Con un forte indebitamento o addirittura in crisi (è il caso di Iren), secondo i manifestanti entrambe sono state usate come bancomat dai vari enti locali che ne detengono quote azionarie. Un conflitto di interessi che spinge gli azionisti, e cioè i vari Comuni, a preferire i dividenti anche in presenza di un debito in costante crescita e, a volte, a discapito degli investimenti sul territorio e della manutenzione programmata. Tant’è che la rete idrica di Bologna e provincia, hanno spiegato i sindacati, “è in uno stato peggiore di 20 anni fa”.

Questa volta i comitati si trovano davanti un’occasione concreta per chiedere la reale applicazione del referendum, e questa volta qualcosa sembra andare nella giusta direzione. L’assessore provinciale all’ambiente di Reggio Emilia, il democratico Mirko Tutino, ha da tempo creato un gruppo di lavoro per studiare la situazione ed entro Natale ha promesso “risposte concrete” ai Comitati referendari. Non tutto però dipende dagli enti locali. Ad occuparsi di armonizzare regole e affidamenti a livello nazionale è l’autorità per l’energia e il gas. “Vogliono reintrodurre il profitto dei gestori cancellato dal referendum cambiandone solamente il nome – spiega il bolognese Andrea Caselli – Prima si chiamava remunerazione del capitale, adesso oneri finanziari. Ma resta il tradimento della volontà popolare”.

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