Potrebbe essere approvato presto dalla Commissione europea il finanziamento di “Soft“, il nuovo progetto italiano per il trattamento dei detenuti per reati sessuali. Soft sta per ‘Sex offenders full treatment’ (trattamento completo per gli autori di reati sessuali), il programma che, stando ai progetti sperimentali, potrebbe abbattere la recidiva dei sex offenders dal 17,3% al 3,2%, grazie a un intervento congiunto di criminologi, psicologi e psichiatri durante e dopo la pena.

In Italia sono 2000 i detenuti per reati sessuali. Soft ne coinvolgerebbe 400, in un percorso volontario e biennale del costo di 630mila euro, che interessa le carceri di Rebibbia e Cassino nel Lazio, San Vittore, Opera e Bollate in Lombardia, Pesaro nelle Marche e, in Campania, Secondigliano e Poggio Reale. A capo del progetto Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti del Lazio.

Niente a che vedere con la castrazione chimica, vietata in Italia – nonostante le proposte di legge di Alessandra Mussolini nel 1997 e di Roberto Calderoli nel 2001 – ma applicata in Paesi come Moldavia, Norvegia, Danimarca, Francia, Inghilterra, Germania, Svezia, e addirittura, nel caso della Georgia, persino a insaputa dei soggetti. “Soft non prevede l’utilizzo di psicofarmaci”, mette in chiaro a ilfattoquotidiano.it Paolo Giulini, criminologo e mediatore, presidente del Centro italiano per la promozione della mediazione (Cipm). E’ stato proprio il Cipm a introdurre per la prima volta in Italia, 6 anni fa, percorsi di trattamento per i sex offenders reclusi, a Bollate.

Una rivoluzione copernicana: trattare le vittime di abusi sessuali, infatti, si dà per scontato. Ma prendere in carico anche chi li abusi li ha commessi, un po’ meno. Eppure è altrettanto importante: solo così, infatti, si combatte la recidiva. Una questione fondamentale, se si pensa che, stando alla casistica internazionale, dopo 4 anni di libertà il 17,3% dei sex offenders torna a colpire, e addirittura fino al 30% lo fa dopo 10 anni. “Soft è l’estensione ad altre carceri del nostro progetto: a Bollate siamo alla sesta annualità, a Pesaro alla prima” precisa Giulini, che è anche responsabile dell’Unità di trattamento intensificato su autori di reati sessuali al carcere di Bollate.

L’obiettivo del trattamento, che in fase sperimentale ha contato solo 3 recidive su 140, è offrire a queste persone “un’opportunità di rielaborare il proprio reato e capirne fino in fondo le dinamiche e le conseguenze”, come spiega il sito del Cipm. L’isolamento in carcere è la prima cosa da combattere: i sex offenders sono “gli infami” nel gergo penitenziario e non di rado sono separati anche fisicamente dagli altri detenuti. E’ importante evitare “l’instaurarsi di un circolo vizioso in cui disagio, rancori, violenze fisiche e verbali contribuiscono ad aggravare situazioni problematiche che spesso esitano in vere e proprie patologie”, si legge ancora.

A beneficiare di Soft, insomma, potrebbero essere in molti. Per chi avesse dei dubbi, può essere utile la lettura di “Buttare la chiave? – La sfida del trattamento per autori di reati sessuali” scritto dallo stesso Giulini con Carla Maria Xella (324 pp., 2011, Cortina ed., 24,30 euro). Il libro – un resoconto dell’esperienza reale di Bollate – descrive la complessità di questo trattamento basato sulla teoria del “Good lives model”, elaborata per la prima volta nel 2002 dallo psicologo neozelandese Tony Ward. Ed esplora un territorio poco conosciuto, quello della violenza sessuale vista da chi commette il reato.

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