Il coniuge extracomunitario dello stesso sesso ha il diritto di risiedere regolarmente in Italia. Questo a prescindere dal fatto che l’Italia non riconosca il matrimonio contratto all’estero: il coniuge omosessuale sposato all’estero è considerato familiare di cittadino comunitario grazie alle norme sulla libera circolazione in Europa e ai pronunciamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo. Così è successo che la questura di Milano ha rilasciato, nello stesso giorno in cui è stato richiesto, senza ostacoli, il permesso di soggiorno al coniuge serbo di un cittadino italo-canadese. Tutto “in base alle norme sulla libera circolazione dei cittadini europei e i loro famigliari”.

La storia è quella di Adrian, italo-canadese, e Djiordje, serbo, che si sono sposati in Canada nel 2009 ma da qualche tempo risiedono in Italia. Seguiti dall’Associazione Radicale Certi Diritti hanno presentato la richiesta di permesso di soggiorno alla Questura di Milano. Niente ha potuto neanche una circolare ministeriale del 2007 che vieta ai Comuni la trascrizione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero anche da cittadini italiani. E c’è chi dice che sull’orientamento della questura milanese abbia ha pesato anche l’approvazione, da parte del Comune di Milano, del registro delle unioni civili. 

Yuri Guaiana, segretario dell’Associazione Radicale Certi Diritti, commenta: “La decisione della questura di Milano rinforza la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che nel febbraio scorso, per la prima volta in Italia, aveva decretato, in accoglimento di un nostro ricorso, il rilascio del permesso di soggiorno per un ragazzo uruguayano regolarmente sposato in Spagna con un italiano”. Ma in Italia le cose non vanno tutte nella stessa direzione: “La Questura di Rimini, che dal 17 maggio 2012 sta bloccando il rilascio del permesso di soggiorno ad un cittadino cubano sposato in Spagna da un italiano, dovrebbe prendere esempio. Sarebbe anche ora che questa contraddizione per la quale si rilasciano permessi di soggiorno per motivi famigliari a coniugi dello stesso sesso, senza che il loro matrimonio contratto all’estero venga riconosciuto in Italia si risolva e che il governo permetta ai coniugi dello stesso sesso di vedere pienamente riconosciuto il proprio stato civile in Italia”.

La vicenda delle coppie omosessuali sposate all’estero è un’altra spallata al catenaccio che ha bloccato finora in Italia qualunque riconoscimento delle coppie gay. I casi di italiani o italiane che si sposano all’estero con partner dello stesso sesso stanno aumentando. Per quanto riguarda la partita politico-legislativa in Italia, ormai sembra tutta puntata sul prossimo Parlamento anche se formalmente ci sono ancora proposte di legge nelle Commissioni dell’attuale Parlamento.

Nei prossimi giorni si capirà se continua o si arena la proposta di iniziativa popolare “Una volta per tutti“, presentata a Milano a giugno. La proposta – elaborata dal gruppo del Padova Gay Village di Alessandro Zan – prevede che le coppie possano scegliere tra tre diversi istituti: le unioni civili, i patti civili di solidarietà, le unioni di fatto.

Qualche esponente politico gay ha partecipato alla presentazione, ma il mondo associativo Lgbt complessivamente si è sentito tagliato fuori e ha considerato come un cedimento inaccettabile l’assenza del vero e proprio matrimonio gay dalla proposta. Il testo della proposta di legge è uscito poche settimane fa e si è così scoperto che l’unione civile nella proposta Una Volta per Tutti sarebbe un istituto, riservato alle coppie dello stesso sesso, equipollente a un matrimonio. C’è persino la previsione di una sorta di adozione semiautomatica dei figli di un partner da parte dell’altro partner. 

Resta che a questione “figli” sarà il punto caldo di qualunque legge in proposito, anche se riguarda solo una parte delle coppie lesbiche e gay. La “Unione civile” del progetto Una volta per tutti, proposta molto avanzata, prevede tra l’altro la ridefinizione della disciplina in materia di cognome, prevedendo che gli uniti civilmente possano scegliere di aggiungere al proprio quello dell’altro unito civilmente, la modifica delle norme in materia di filiazione e potestà dei genitori, prevedendo che l’unito civilmente sia legalmente genitore del figlio concepito durante l’unione civile dall’altra parte dell’unione, anche facendo ricorso a tecniche di riproduzione assistita o di maternità surrogata all’estero; previsione della possibilità per l’unito civilmente di adottare i figli nati dall’altra parte dell’unione prima della celebrazione dell’unione civile, in assenza di riconoscimento dell’altro genitore naturale; unificazione delle disposizioni in materia di affidamento dei figli in caso di scioglimento dell’unione per assicurare parità di trattamento tra i figli nati da un matrimonio e quelli nati da un’unione civile.

Il “patto civile di solidarietà”, invece, e la “unione di fatto” nel progetto di legge sono istituti aperti anche alle coppie eterosessuali che non si vogliono sposare e comunque – pur non occupandosi così precisamente dell’aspetto figli – prevedono diritti significativi, come la possibilità di far avere il permesso di soggiorno al partner extracomunitario (senza bisogno di andarlo a sposare all’estero…) e l’equiparazione al coniuge nell’eredità. Ma che la “Unione civile” di “Una volta per tutti” sia di fatto un matrimonio non ha mutato, anzi ha reso ancora più critica, la posizione delle associazioni Lgbt che oggi vogliono rivendicare esplicitamente, senza cautele diplomatiche, la parità attraverso il matrimonio.

Per il 15 settembre è stata convocata a Roma una assemblea nazionale dei principali soggetti Lgbt che dovrebbe portare al lancio di una proposta di legge di iniziativa popolare intitolata al matrimonio egualitario. Bisognerà vedere se prevederà anche istituti intermedi – come Una volta per tutti – o se, in nome dell’eguaglianza, metterà anche le coppie omosessuali nel binario del divorzio lungo se la coppia si vuole poi sciogliere.

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