Non sto parlando del girotondo, il gioco per bambini, ma del girare di certi uomini importanti in tondo rispetto ad un problema pur di non affrontarlo. Nel caso specifico sto parlando di Taranto.

Proviamo a sintetizzare la situazione. Una fabbrica inquina persone ed ambiente. Chi trae profitto dall’attività della fabbrica – e ricordiamo che prima degli attuali proprietari il proprietario fu lo Stato – non si è preoccupato più di tanto degli effetti collaterali della lavorazione industriale. Non legge i bollettini delle persone ammalate e che poi muoiono: tutti tabagisti incalliti, asseriva un’autorità del luogo. Non pone attenzione ai comitati cittadini che denunciano la cosa. Non fa troppo caso alla la polvere rossastra ferrosa che dentro e fuori la fabbrica ricopre ogni cosa. Non vede lo smog che tutto l’anno circonda l’area, tranne quando il vento, le tempeste, bontà loro, non trasportano la polvere in altri siti, inquinando qualcun altro. Loro dormono fra due guanciali: è tutto ok.

La sveglia a costoro la dà un procuratore della Repubblica. Allora ci si sorprende. Ci si agita. Si telefona ad amici per chiedere aiuto. Loro possono sempre contare su amici. Se non l’aveva fatto prima o l’aveva fatto in maniera parziale, una persona intelligente avrebbe cominciato immediatamente a mettere in atto qualche sorta di bonifica, se non altro per far vedere la ”buona fede”. Perché sicuramente un piano di bonifica nei loro cassetti ci deve essere. No, aspettano che lo Stato, ricattato con i posti di lavoro, vada in loro aiuto. E lo Stato, con i soldi delle nostre tasse, promette di pagare per un’ipotetica bonifica.

Ma una bonifica è possibile? Scomodando i quattro elementi di antica memoria, con il fuoco si è inquinata l’aria, la terra, l’acqua, probabilmente mare compreso, il mare che i poeti greci chiamavano incorruttibile. Non ho dati alla mano, ma da teorica a tavolino e da ottimista, credo che qualcosa si possa fare: una bonifica, anche se sicuramente non risolutiva. Inutile illudersi e illudere: non si può riportare un territorio alle condizioni originali, specialmente se si è superato “il punto di non ritorno”. Ci sono degli insulti fatti al territorio ed ai suoi abitanti che sono irreversibili. La morte di operai o di cittadini di Taranto è un esempio di fatto irreversibile, ma irreversibile è anche, per esempio, lo stato di un terreno di cui sono state stravolte le caratteristiche chimiche.

E’ ovvio che si può fare in modo che il combustibile dell’acciaieria, il carbone, non svolazzi, contenendolo in apposite strutture come pure i residui di lavorazione. Polveri sulla superficie del terreno possono essere raccolte e “confinate”. Non ha alcun senso spendere soldi per metterle altrove: così si inquinerebbe anche un’altra area con tutto quanto ne conseguirebbe. E poi, dove? E se queste polveri hanno già inquinato le falde acquifere, nessuno al mondo può disinquinarle in tempi brevi. Ma qualcosa per tutto questo si può fare: si può trattare in modo idoneo l’acqua che entra in acquedotto. L’aria in fabbrica e in città può essere aspirata e trattata con filtri idonei, ma è imperativo che anche i camini ne siano dotati. Per il mare, invece, non vedo soluzioni attuabili realisticamente. Ciò che è stato fatto ha già cominciato a dare i suoi effetti e non si può tornare indietro. Si può, però, arrestare la frana smettendo d’inquinare ancora.

Ciò di cui questi industriali devono rendersi conto è che il rispetto dell’ambiente può essere un business. Non inquinare può richiedere la messa in opera di tecnologie che in parte esistono e in parte, se si stimolano i cervelli giusti, potranno esistere anche in tempi tutto sommato brevi. Così è per molto di quello che riguarda pulire dove si è sporcato. Tecnologie del genere sono investimenti e sono vendibili eccome, e non passerà molto tempo che non se ne potrà fare a meno per motivi meramente pratici di sopravvivenza. E poi, al di là del business e pure dell’etica, facendo quello che è davvero “del proprio meglio”, ci si mette al riparo di guai postumi e irreparabili anche dal punto di vista giudiziario come, ad esempio, ciò che seguì la tragedia prevedibilissima dell’amianto.

L’ambiente può rappresentare un business e regalare nuove forme di lavoro. Quel che è certo è che non possiamo più permetterci d’inquinare ancora questo mondo, il solo che abbiamo contro i sette che ci servirebbero. Ne va di mezzo la sopravvivenza dell’umanità intera. I bambini di Taranto morti prima di nascere o morti in tenera età per tumori non hanno avuto la possibilità di vivere la vita che spettava loro e testimoniano che già ora il nostro futuro è molto precario.

Ora quel che fatto è fatto e si deve guardare avanti pensando, e anche in fretta, alla bonifica. Arruolare persone come i professori Veronesi e Garattini è girare attorno ad un problema. Questi sono dei luminari nel loro campo, ma di acciai non capiscono niente, non ne conoscono nemmeno le composizioni chimiche, non lo hanno mai cercato nell’ambiente, ma soprattutto non hanno mai guardato dentro al tessuto tumorale di un organo, per esempio quello del cervello di un bambino, per vedere se lì ci sono le palline d’acciaio. E, se ci sono, che cosa significano?

C’è tanto da fare. C’è tanto che si può già tecnicamente fare. Spero solo che tutta questa vicenda non finisca come il gioco da bambini delle bolle di sapone.

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