Rilassati, herr Mueller, non ti stiamo chiedendo soldi. Non usa un linguaggio così diretto Mario Monti, ma il concetto, espresso in un’intervista congiunta concessa a sei quotidiani europei (Le Monde, El Pais, Süddeutsche Zeitung, The Guardian, La Stampa e Gazeta Wyborcza), è comunque lo stesso. Il signor Mueller della situazione, ovviamente, non è altro che l’immaginario tedesco medio, l’elettore diffidente che Angela Merkel non vuole perdere, il lettore preoccupato cha ha ancora negli occhi l’eloquente copertina della Bild sulla quale, pochi giorni fa, lo stesso Monti veniva affiancato ad altri quattro protagonisti dell’assedio internazionale a Berlino. Monti, Obama, Barroso, Hollande e Rajoy: tutti sbattuti in prima pagina con un avvertimento eloquente. “Questi cinque vogliono i nostri soldi”, spiegava la Bild a tutti i Muller di Germania. Inevitabile, a questo punto, che la sfida del premier italiano si rivolga ormai proprio a questo pregiudizio.

E di sfida autentica si tratta. A tutti gli effetti. Dopo il vertice del G20 e la proposta di impegno del fondo salva Stati sul mercato secondario dei titoli le carte sono ormai scoperte. L’Italia, così come la Francia e la Spagna, punta al maxi intervento di acquisto delle obbligazioni sovrane con l’obiettivo di alleggerire la pressione sui deficit nazionali. Monti, insomma, non è neutrale. Ma al tempo stesso si è conquistato il ruolo di mediatore. L’appuntamento in agenda è il vertice di fine mese, quello nel quale si dovranno prendere finalmente le decisioni. Se il risultato non fosse raggiunto, spiega, le conseguenze sarebbero disastrose: “Attacchi speculativi sempre più intensi sui singoli Paesi, un’ampia arte d’Europa che dovrebbe continuare a sostenere interessi molto alti”.

Quanto alle conseguenze politiche la situazione non sarebbe meno preoccupante. “Per uscire dalla crisi servirà una sempre maggiore integrazione, ma se non saprà risolvere in fretta i problemi dell’eurozona il Consiglio europeo finirà per far rivoltare l’opinione pubblica contro questa stessa idea di integrazione”. Bisogna agire in fretta, insomma, a differenza di quanto fatto in passato. “A volte l’Europa sembra omaggiare il principio dell’elogio della lentezza, un principio che andrebbe abbandonato”.

Fin qui il Monti pensiero, fin qui il manifesto ideale dei dieci giorni più lunghi dell’euro. Ma le dichiarazioni non sono tutto, perché a Monti (così come all’Europa) serve soprattutto credibilità. Quel credito di fiducia, cioè, che al di là della Manica e sull’altra sponda dell’Atlantico vacilla da tempo. Ambrose Evans-Pritchard, uno dei commentatori di punta del Daily Telegraph, fa proprie le parole di un anonimo alto funzionario italiano per parlare addirittura di un Monti “disperato” e costretto a fare i conti con una crescente “rivolta” di fronte al malcontento di casa propria. Guy Dinmore, corrispondente da Roma per il Financial Times, sottolinea la crisi di consensi che circonderebbe un premier ormai apertamente impegnato “in una lotta per la sopravvivenza dell’euro e dell’Italia”.

A rincarare la dose ci pensa quindi il Wall Street Journal che prende di mira lo stallo che caratterizza l’agenda delle riforme sul mercato del lavoro. Di nuovo la filippica contro la rigidità delle regole, di nuovo la disillusione del quotidiano Usa di fronte a quel Monti che non è la Thatcher, di nuovo, infine, la condanna senza esitazione dell’economia italiana, esplicitamente definita “moribonda”. Non meno polemico, tre giorni fa, il Washington Post. “La fiducia sulle capacità di Monti di aggiustare i conti vacilla” titola il quotidiano statunitense. “All’epoca della sua nomina a primo ministro, l’ansia si era placata al pari della pressione dei mercati. Ma adesso, a sette mesi di distanza, la fiducia nel governo italiano sta precipitando all’interno così come all’esterno”.

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