Secondo me Bruno Gentili è il peggior telecronista di partite della Nazionale la cui voce sia arrivata nelle case degli italiani. Non perché non sia competente e non perché ha al fianco una seconda voce (Collovati) che si fa beccare in un fuori onda in cui definisce la Grecia “una squadra di merda”.

Fosse per questo, in una ideale classifica dei televisivi che non si accorgono di essere in onda, si piazzerebbe ben alle spalle del cantore Mediaset Carlo Pellegatti che qualche mese fa si lasciò andare a espressioni da curva nei confronti dell’allenatore della Juve. Gentili si piazza sua volta ben dietro Carosio, Martellini, Pizzul, Civoli (restando alle voci Rai) perché non ha sviluppato alcuna personalità specifica. E’ anonimo anche quando si entusiasma, anche quando ci mette tutta l’enfasi possibile oppure quando si deprime. E’ già tanto che abbia capito (come è stato possibile che non si fosse preparato prima è un mistero) che la Tv è differente dalla radio e che l’ìnflazione di parole in tv è venefica. Ma non è questo il punto.

Il punto è che Gentili è il simbolo perfetto di una Rai che quando racconta gli Europei 2012 non è che non ci metta l’impegno: sembra semplicemente appartenere ad un’altra epoca. I narratori del calcio Rai sembrano vecchi anche quando sono giovani o quasi: perché sono la loro cadenza, il loro linguaggio, le loro facce a non scrollarsi di dosso quell’aura di ipergarantiti dal sistema partitico che avuto addosso per anni. E quel sistema è oggi (per fortuna) quanto di più lontano ci sia dal modo di sentire di moltissimi nostri compatrioti, anche di coloro che continuano imperterriti ad appassionarsi per il pallone nonostante tutto ciò che sappiamo e che avremmo dovuto voler sapere molto prima. Ascolti una telecronaca, ti accorgi che una delle seconde voci non sa nulla della strage di Beslan, ne ascolti un altro chiedere a Prandelli di promettere meraviglie “ai milioni di italiani che la stanno ascoltando” come in una brutta sceneggiatura di un brutto film e non riesci a dissociare quelle voci e quelle facce da uno dei partiti, dei segretari o sottosegretari grazie ai quali sono arrivati in Rai; o per chissà quale altro canale.

E questa sensazione porta il prodotto Rai sull’Europeo a essere anceh più criticato di quanto poi realmente meriti. Il mondio è cambiato, una certa parte d’Italia anche. La Rai dell’Europeo no. E non è colpa di questo o di quel telecronista. E’ che la storia, ad un certo punto dà torto e dà ragione, come dice De Gregori.

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