Dopo Roma (nelle prossime settimane Alemanno si appresta a vendere il 21% delle quote di Acea), il voto referendario dell’anno scorso sulla ripubblicizzazione dell’acqua potrebbe essere disatteso anche a Trento e provincia. Già all’indomani dello straordinario successo del 12 e 13 giugno – quando il Trentino ha fatto registrare una delle percentuali di votanti fra le più alte d’Italia (quasi il 70%) – il comitato trentino ABC, Acqua Bene Comune, ha iniziato a chiedere la creazione di un’azienda speciale (un ente di diritto pubblico) per migliorare la gestione del servizio idrico.

La proposta avanzata riguarda però solo una parte della provincia, perché “fortunatamente – ricorda Francesca Caprini, attivista del comitato ABC – metà delle utenze idriche sono gestite in maniera virtuosa, cioè attraverso i Comuni e con una partecipazione importante della comunità”. L’acqua dell’altra metà della provincia, più precisamente di Trento, Rovereto e altri 15 comuni (in tutto circa 200mila abitanti), viene invece gestita da una spa: la Dolomiti Reti. Controllata al 100% dalla multiutility Dolomiti Energia, società mista pubblico-privata con dentro il Comune di Trento, quello di Rovereto, ma anche A2A (una delle principali multiutility che gestisce gli inceneritori di quasi mezza Italia), l’Isa (l’Istituto Atesino di Sviluppo, cioè il braccio finanziario della Curia trentina), una fondazione bancaria legata all’ex Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto.

“Nessuno tragga più profitti economici – chiedono i movimenti – Dolomiti Energia tolga le mani dalla nostra acqua”. E propongono: “Siamo una popolazione di montagna, abbiamo dunque la cultura dell’acqua e inoltre la nostra legislazione ce lo permette, visto che quella di Trento è una provincia autonoma, dunque con totale libertà di manovra per ciò che concerne i servizi pubblici. Dunque creiamo un’azienda speciale”. Proprio come ha fatto Napoli. Iniziativa condivisibile per l’amministrazione comunale e quella provinciale che da alcuni anni valutano il progetto di scorporare il settore “acqua” da Dolomiti Energia (la società fornisce anche gas e energia elettrica).

Ma non totalmente. Secondo i piani di Comune e Provincia, infatti, la gestione del servizio idrico deve essere affidata ad una nuova spa in house, cioè a totale partecipazione pubblica. La scelta prospettata non aggrada però “gli incontentabili” movimenti per l’acqua: “Non può essere la risposta a quei quasi 300mila trentini, che hanno chiesto che l’acqua debba essere a gestione totalmente pubblica – aggiunge Caprini – Una spa in-house non è la forma migliore per gestire dell’acqua, perché ancora una volta ripropone logiche di profitto”.

Ad appoggiare il comitato trentino Acqua Bene Comune c’è anche il missionario comboniano, padre Alex Zanotelli – in prima linea per perorare la causa referendaria – che qualche settimana fa, in occasione della discussione in consiglio comunale di un ordine del giorno redatto proprio dai movimenti (poi respinto), ha invitato i cittadini ad occupare il comune. “Ma quali profitti? – chiede il sindaco di Trento, Alessandro Andreatta – Stanno conducendo una battaglia sbagliata. Con la spa in house avremo un’acqua buona con tariffe basse e meno vincoli”.

Si tratta, sì, di una società con capitale al 100% pubblico, ma “ben distante – come scrivevano Gaetano Azzariti, Stefano Rodotà e altri costituzionalisti nella relazione ai quesiti referendari – da un’azienda speciale (…) un ente pubblico economico, con ridotta autonomia imprenditoriale”. Non esiste poi una regola-base secondo cui una spa, nata totalmente pubblica, non si apra in futuro al capitale privato.

C’è poi un altro aspetto per niente trascurabile: l’operazione legata alla nascita della nuova spa in house avrà un costo, solo per la città di Trento, di circa 42 milioni di euro. Questa la cifra che i cittadini trentini dovranno sborsare per riavere indietro, dalla Dolomiti Reti, l’acquedotto comunale (illo tempore ceduto alla società controllata dalla sesta multiutility italiana per una cifra simbolica). “Poche settimane fa – continua l’attivista del comitato ABC – Dolomiti Energia ha pubblicato il bilancio consuntivo del 2011 e abbiamo scoperto che, guarda caso, hanno un buco di 42 milioni di euro”.

Con ogni probabilità comunque, anche nell’ipotesi della creazione di un’azienda speciale, il Comune di Trento dovrebbe pagare quella somma. Il prezzo, si sa, lo fa il venditore e quasi mai chi compra. E bisogna ammetterlo: lo scorporo dell’acqua da Dolomiti, avviato da Comune e Provincia, è un significativo passo avanti, da valorizzare come un fatto positivo. Ma la strada per la totale ripubblicizzazione dell’acqua non passa da un ente di diritto privato (anche se in house).

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