Vendere tutto e subito, prima che sia troppo tardi. Sembra essere questo l’imperativo della giunta capitolina, guidata da Gianni Alemanno. Interessi inclusi, il debito di Roma Capitale ammonta infatti ad oltre 12,5 miliardi di euro. E allora, come anticipato dal Corsera meno di un mese fa, si inizia da Acea, l’azienda municipalizzata che gestisce i servizi di elettricità ed acqua, e la cui maggioranza delle quote (51 per cento) è in mano proprio al Comune di Roma. Il provvedimento non sarebbe ancora definito in tutte le sue parti, “per questo motivo – spiegano dall’assessorato al Bilancio – la riunione della giunta, inizialmente prevista per ieri, per l’esame del bilancio previsionale, è slittata a venerdì”.

Ma Alemanno ha le idee chiare e il suo piano lo ha già esposto ieri alle parti sociali: scendere al 30 per cento della partecipazione nella multiutility, vendendo il 21 per cento delle azioni. Subito. In modo da poter incassare un assegno di oltre 200 milioni di euro. “Ce lo chiede il Governo”, si sente riecheggiare dal Palazzo Senatorio. Il decreto Monti però impone agli enti locali di ridurre fino al 30 per cento le partecipazioni nelle società di servizi, entro giugno 2015. Che fretta c’è, visto che nel 2015 potrebbe non essere più Alemanno il sindaco di Roma? E soprattutto “dal programma di apertura e vendita ai privati , previsto dal decreto sulle liberalizzazioni – ricorda il CRAP, Coordinamento Romano Acqua Pubblica – vengono esclusi l’acqua e i servizi di distribuzione di energia (gas e elettricità). Se il Comune dunque cede le quote, non solo viene meno agli accordi con i quali è stata data in affidamento ad Acea ATO2 (spa controllata da Acea) la gestione in house del servizio idrico integrato – denuncia il CRAP – ma tradisce il voto referendario di oltre un milione e duecentomila romani”. Ad appellarsi all’esito del referendum del 12 e 13 giugno 2011 è anche il capogruppo Pd di Roma Capitale Umberto Marroni: “Non capiamo la velleitaria ipotesi di cessione di quote visto il risultato chiaro del referendum”.

L’accelerazione dell’operazione da parte di Alemanno farebbe presumere che “l’acquirente sia già stato trovato”: uno dei possibili candidati potrebbe essere Francesco Gaetano Caltagirone (l’imprenditore romano è il secondo azionista della società), che lo scorso mese ha venduto sul mercato lo 0,03 per cento delle sue quote, scendendo al 16,23 per cento di azioni detenute. La vicenda è seguita con attenzione pure dall’altro socio privato, il colosso francese Gdf Suez (che detiene l’11,5 per cento). Anche se adesso Alemanno si dice intenzionato a tener fuori i due azionisti di minoranza. “Eviteremo che chi già possiede più del 2 per cento del pacchetto azionario, possa comprare le quote messe in vendita dal Comune”, ha detto il sindaco alle parti sociali.

A rilevare parte delle quote azionarie della prima distributrice in Italia di acqua, sono pronti allora alcuni istituti di credito e il Fondo strategico della Cassa Depositi e Prestiti. “Una fetta poi – ha detto il sindaco – andrà in Borsa”. Ed proprio da lì che Caltagirone potrebbe continuare a comprare (il costruttore ed editore del Messaggero, nel giro di due anni, ha più che raddoppiato le sue quote in Acea). Poco chiare ancora le modalità della cessione. “Sulle società quotate – dice Alfredo Ferrari del Pd – la legge prevede la possibilità di trattativa privata con un investitore privilegiato”, cioè senza riversare i titoli sul mercato. Ipotesi questa inizialmente presa in considerazione, ma scartata in un secondo momento.

Il leitmotiv del Campidoglio pare essere “mettere in vendita proprio tutto… il vendibile”. Prima della manovra di bilancio, sarà presentata infatti in Assemblea capitolina un altro progetto per far cassa: la holding Roma Capitale. Un maxi contenitore in cui confluiranno tutte le spa del Comune, quelle indebitate e quelle godono di ottima salute: Ama (rifiuti) e Atac (trasporti) in primis, ma anche Zetema (la società che gestisce i musei e i siti archeologici della capitale), Risorse per Roma, Aequa Roma, Roma Metropolitane ecc…Una volta costituita, parte delle quote della holding verrebbero poi vendute. Insomma accorpare tutto per riuscire a dar via il 40 per cento delle aziende dei rifiuti e dei trasporti, entro la fine di quest’anno, come prevede la legge (trasporti pubblici e raccolta e smaltimento rifiuti sono gli unici servizi pubblici locali che verranno aperti al processo di liberalizzazione), al miglior prezzo.

Sarebbe difficile infatti poter piazzare sul mercato le quote di aziende disastrate con oltre 700 milioni di debiti (Ama). Più appetibile potrebbe forse essere, in vista soprattutto dell’aumento dei biglietto previsto per giugno, l’azienda che gestisce in house il servizio di trasporto urbano di superficie e metropolitano (Atac), ma i conti sono ancora lontani dall’essere riordinati. Insomma in due mosse Alemanno affosserebbe il voto di un milione duecento ventisettemila romani che hanno detto sì alla gestione pubblica dell’acqua, dei trasporti e dei rifiuti. “Il governo Monti non è il vangelo – attacca Marroni – il sindaco non approfitti della deriva neoliberista per fare forzature e svendere le società di Roma Capitale”. E promette: “Solleciteremo il Presidente del Consiglio per chiedere una moratoria ad un provvedimento ideologico che rischia di dare un altro colpo al tessuto industriale della città”. Non è solo l’opposizione ad attaccare le scelte infauste del sindaco. A chiedere un dietrofront sulla dismissione del 40 per cento di Atac e Ama, sono stati gli stessi assessori alla Mobilità (Antonello Aurigemma) e all’Ambiente (Marco Visconti), che hanno persino minacciato le dimissioni. Anche i lavoratori delle due municipalizzate sono già sul piede di guerra. E Alemanno, sulla privatizzazione di trasporti e rifiuti, adesso temporeggia. Se ne riparlerà in una delibera successiva. Intanto “col Bilancio di adesso saranno avviati la costituzione della holding (in cui come detto entreranno anche Atac e Acea) e il processo di privatizzazione di Acea”.

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