D’accordo: i programmi elettorali da duecentoquaranta pagine sono mattoni indigeribili, fatti con troppi ingredienti difficili da impastare insieme. Ma la semplificazione che propone Beppe Grillo nel suo programma politico, pubblicato sul suo sito, sa di cibo artificiale, di fast food.

Non vorrei fare il solito attacco generico al presunto qualunquismo di Grillo, vorrei invece riprendere la lettera del suo programma per provare a fare qualche domanda al leader dei 5 stelle in materia di cultura e istruzione.

“La Costituzione non è applicata”, scrive Grillo all’inizio del suo programma. Benissimo, e anche vero. L’articolo 9 della Costituzione recita che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. Il programma di Grillo non ha nemmeno un capitolo cultura, e questo la dice già lunga sul ruolo che la cultura dovrebbe avere nella visione grillina del bene comune e della crescita civile del paese. Viene spontanea allora una serie di domande:

1)  Che ne è dei Beni Culturali, della loro protezione, dei costi connessi allo sviluppo della cultura? Che ne è di Pompei, qual è la visione strategica – anche industriale, se si vuole – della conservazione delle testimonianze della nostra storia?

2)  Che ne è dei Musei, che non sono tutti Uffizi e Brera, ma sono disseminati in migliaia di realtà anche piccole? Molti anni fa mi capitava spesso di passare da Monterchi, un minuscolo paesino in provincia di Arezzo, dove in una cappellina cimiteriale che bisognava farsi aprire dal custode era conservato uno splendido affresco di Piero della Francesca, la Madonna del Parto. Non c’era turismo, non c’era praticamente rendita, ma c’era Piero della Francesca. Da allora le cose sono cambiate, perché l’affresco è stato staccato e portato in un Museo costruito ad hoc (che, dal mio punto di vista, ha migliorato forse le condizioni di conservazione, ma ha peggiorato la relazione, ora più fredda, con l’affresco). Ma il problema di investimenti in beni che non necessariamente producono guadagni è restato.

3)  Che ne è per Grillo del teatro, del cinema, dell’opera, dello spettacolo, che morirebbero se non godessero di sovvenzioni pubbliche? Tacere su questo vuol dire prevedere che tutto resti come ora (per esempio con i tagli del FUS già operati)? Vuol dire, per esempio nel caso del cinema, arrendersi alla cultura dominante, ai film che incassano al botteghino e basta?

4)  Anche nel capitolo Istruzione – che invece è presente nel programma di Grillo – molte voci sono estremamente generiche. Che cosa vuol dire che i libri di scuola devono essere resi accessibili gratuitamente via internet? Come pensa Grillo di remunerare il lavoro di chi quei libri li pensa e li scrive? E’ molto probabile che il futuro dell’editoria vada in direzione dell’elettronica, ma semplificare a questo punto i discorsi induce – come al solito, in Italia – ad adesioni “di pancia”, fatte per un consenso immediato (quale famiglia non vorrebbe risparmiare la spesa dei libri di scuola per i figli?), ma senza radici.

5)  Per l’università, che è il fulcro della crescita di un paese in termini di alta formazione e di ricerca, quale politica della ricerca è sottesa alla visione di Grillo? Anche qui, molte belle formulazioni generiche (“investimenti nella ricerca universitaria”: chi vorrebbe fare il contrario?), ma poche idee precise: nessuno probabilmente sarebbe avverso a una maggiore “integrazione Università/Aziende”, ma la ricerca di base chi la finanzia (e soprattutto quanto)? Che fine fa la ricerca umanistica, che quasi per definizione non ha la possibilità di ritorni economici diretti? E ancora, l’abolizione del valore legale del titolo di studio andrebbe bene se ci fossero almeno due condizioni: un mercato del lavoro autenticamente aperto a valutare i meriti e le capacità; e uguali condizioni di partenza per tutte le università (uguali strutture, uguali finanziamenti, uguali infrastrutture, ecc.), in modo tale che ogni università potesse giocare alla pari la partita della qualità dell’offerta formativa, e, semmai, poi anche chiudere i battenti se quella partita la perdesse.

Nel giorno della Liberazione, che è un giorno di crescita civile, potrebbe il Movimento 5 stelle dare qualche risposta almeno su questi punti? 

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