Quando ieri sera è atterrato a Belgrado deve essersi sentito spaesato. Perché Dejan Lazic, in Serbia, prima d’ora non c’era mai stato. Eppure l’hanno caricato su un aereo. E l’hanno portato fin lì, dopo l’espulsione dall’Italia, il Paese dove è nato 24 anni fa e dove finora era sempre vissuto. Non aveva un permesso di soggiorno, però. Così ha dovuto lasciare la sua famiglia, di etnia rom, e andarsene. Non ha potuto nemmeno aspettare che il giudice decidesse sul suo ricorso.

E’ nato a Moncalieri, il giovane Dejan. Vicino a Torino. Da piccolo ha pure frequentato le scuola elementare. In modo sporadico. Non l’ha finita a dire il vero, come a volte capita ai figli dei nomadi. Quando ha compiuto 18 anni non ha chiesto la cittadinanza italiana, forse non sapeva nemmeno di averne diritto. Poi una vita fatta di espedienti, piccoli lavoretti. Nulla di fisso. Una condanna a 5 mesi di carcere per un tentato furto. All’uscita di prigione è stato portato in questura e gli è stato notificato un decreto di espulsione. Da alcune settimane era rinchiuso nel Cie di via Corelli, a Milano. Il 20 marzo scorso il giudice di pace del capoluogo lombardo ha confermato che nel centro di identificazione ed espulsione dovesse rimanerci, per poi essere spedito lontano. Eppure solo due giorni dopo, a Modena, un altro giudice ha stabilito che i figli di stranieri, pur senza permesso di soggiorno, non possono essere trattenuti nei Cie, se sono nati in Italia. La legge Bossi-Fini a loro non si applica. Così Andrea e Senad Seferovic, due fratelli di 23 e 24 anni, sono stati liberati. Sono di origine bosniaca, non hanno alcuna cittadinanza, ma sono nati e cresciuti a Sassusolo.

A Dejen, però, è andata in modo diverso. I suoi legali Eugenio Losco e Mario Straini hanno presentato ricorso. L’udienza si terrà il 3 maggio, ma Dejan è stato espulso prima. Ora è in Serbia, il Paese di origine dei suoi genitori. “Ma lui, la Serbia, non sa nemmeno cosa sia – denuncia l’avvocato Losco -. Non è mai vissuto là, è sempre stato in Italia, anche se non aveva un regolare permesso di soggiorno”. Dejan non sapeva cosa aspettarsi da Belgrado. Non conosce nessuno lì: i suoi parenti vivono in Italia da anni. Il padre, scomparso l’anno scorso. La madre, che abita insieme al fratello, custode in un’autorimessa nella zona di San Fruttuoso a Monza.

“Nel decreto di espulsione – fa notare Losco – è scritto che il giovane si è sottratto ai controlli alle frontiere”. Una dichiarazione firmata dallo stesso Dejan, che però nemmeno ha capito che cosa c’era scritto sul foglio: “E’ analfabeta – spiega il legale -. E non può essere entrato in Italia attraversando il confine, lui è sempre vissuto qua”. Se il giudice accoglierà il ricorso, Dejan potrà ritornare. Ma non è detto che poi riuscirà a ottenere il permesso di soggiorno. O a diventare cittadino italiano: avrebbe dovuto farne richiesta al compimento del diciottesimo anno di età. C’è un vuoto legislativo, secondo Losco, da riempire con l’introduzione dello ius soli, ovvero il diritto di cittadinanza a chi è nato nel nostro Paese: “Non mi pare giusto – dice l’avvocato – che una persona che nasce e vive qui debba aspettare 18 anni per avere tale diritto”.

Una posizione simile l’ha espressa anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, quando lo scorso novembre si è augurato che “in Parlamento si possa affrontare la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un’autentica follia, un’assurdità”. In questa direzione è andata la decisione del giudice di Modena. Per Dejan, invece, non c’è stato nemmeno il tempo di aspettare l’esito di un ricorso.

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