Ogni tanto i sogni si avverano. Questa sentenza regala, ai parenti delle vittime prima che a me, il diritto di sognare”. Raffaele Guariniello è commosso e felice. Ma subito rilancia con un sogno ancora più grande: una Procura nazionale sugli infortuni e le malattie professionali. Ne parlerà domani alla commissione parlamentare sulle “morti bianche”.

Qual è stato il primo pensiero dopo la sentenza?
Ho pensato a quel lavoratore di Orbassano che aveva contratto il mesotelioma in uno stabilimento svizzero Eternit ed era venuto a morire in Italia: il primo caso di tumore da amianto che ci fu segnalato dieci anni fa, quello che fece partire l’indagine sui vertici della multinazionale. Lì ci venne l’idea di perseguire non solo gli amministratori italiani, ma anche i massimi dirigenti che, a migliaia di chilometri, decidono le strategie sulla sicurezza valide per tutto il mondo. E poi ho pensato alle scene che ho visto in un documentario sull’Eternit in India, dove i lavoratori maneggiano l’amianto come fosse pane, senza non dico lo scafandro obbligatorio da noi, ma nemmeno una mascherina di cartone: l’uomo, a seconda di dove vive, è trattato in modo così diverso! Un’ingiustizia che deve finire.

Lei parla di “sogno che si avvera”. La Giustizia, in Italia, è solo un sogno?
Speriamo che questa esperienza si estenda a tutta Italia e al mondo. I morti d’amianto sono uguali in tutti gli stabilimenti Eternit: Francia, Svizzera, Brasile, Cina, India. Una strage mondiale.

Mentre ottenete questi risultati, la legge Mastella-Castelli e il Csm smembrano il vostro pool, costringendo 6 pm su 9 a emigrare perché, dopo 10 anni, sono troppo esperti…
Spero che questo processo, come i precedenti, come quello alla Thyssenkrupp, faccia rinsavire la politica e il Csm. Che dovrebbero capire due cose. Primo: in queste materie la specializzazione è fondamentale. La regola della decennalità è un controsenso: senza pm specializzati, i processi non si fanno, o si fanno male e si perdono.

La seconda cosa?
Che questi non sono processi di serie B: sono importanti quanto quelli di mafia. Noi siamo assediati dai comitati dei parenti delle vittime che ci chiedono di occuparci di morti lontano da Torino, fuori dalla nostra competenza. Per dare il diritto alla speranza a tutti non si può continuare ad affrontare questi crimini nazionali e transnazionali con 120 procure, in gran parte piccole, che agiscono per conto proprio. E non sono in grado, per organici, competenze, esperienze, di affrontare indagini così complesse. Il pm che affronta per la prima volta un caso di tumori da amianto è sprovvisto degli strumenti indispensabili per arrivare in fondo: norme, metodi indagine, consulenti giusti.

Cosa dirà domani alla commissione “morti bianche”?
Che non basta piangere a ogni morto sul lavoro. Basta lacrime inconcludenti, è ora di passare ai fatti con una Procura nazionale specializzata su questi reati. Per intervenire non solo a tragedia avvenuta, ma anche con un’opera sistematica di prevenzione, senz’aspettare sempre il morto. Coordinare le indagini su scala nazionale significa alzare lo sguardo oltre il caso singolo, per comprendere se questo infortunio o quella malattia professionale sono solo un episodio o – vedi Thyssen ed Eternit – l’esito delle scelte strategiche di tutta l’azienda. Noi, per Eternit, abbiamo potuto procedere solo per lo stabilimento di Cavagnolo. Non per quelli di Casale, Reggio Emilia o Napoli. Lì processi non si sono fatti, o hanno coinvolto solo dirigenti locali, o sono finiti in archivio o in prescrizione. Inevitabile, con indagini frammentarie.

Come avete fatto ad alzare il tiro sui vertici massimi? Nelle indagini di routine fai l’ispezione, senti qualche testimone, affidi una perizia e chiedi i documenti all’azienda. E così persegui soltanto i livelli più bassi della catena di comando, senza mai riuscire, con indagini pentranti, a coinvolgere i vertici più alti. Le perquisizioni, in casi come questi, vanno fatte entrando nei consigli di amministrazione per capire cosa davvero è accaduto. Se otteniamo condanne per ‘ dolo eventuale’, non solo per colpa, è perché siamo entrati nei computer dei dirigenti trovando scambi di mail con direttive per risparmiare sulla sicurezza negli stabilimenti di tutto il mondo. Ma questo una piccola procura periferica non può farlo. E neanche una grande, ma inesperta. La nostra è l’unica che da 15 anni ha un osservatorio sui tumori professionali e monitora tutti i casi, sottraendoli al pozzo nero di ospedali e comuni.

E poi le multinazionali hanno sede all’estero.
Per indagare sulle casemadri estere, inoltriamo rogatorie ad altri paesi, che rispondono dopo mesi, anni, o non rispondono. Come il Brasile, per i casi di lavoratori che hanno contratto il tumore nello stabilimento brasiliano e sono morti in Italia. Una Superprocura avrebbe più forza nei rapporti con gli altri paesi. E nel sollecitare un “Parquet” europeo: l’art. 86 del trattato Ue prevede procure comunitarie per tutti i casi di ‘ crimine tranfrontaliero’. La nostra materia vi rientra in pieno. L’Europa unita è anche questo. Il crimine viaggia alla velocità della luce: la Giustizia non può continuare a inseguirlo con la diligenza.

Il Fatto Quotidiano, 14 Febbraio 2012

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