Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad

Non era mai successo prima nella storia della Repubblica islamica dell’Iran: il Majlis, il parlamento, ha convocato il presidente Mahmoud Ahmadinejad a comparire in aula per rispondere a una lunga serie di accuse, politiche e tecniche, sulla conduzione del governo negli ultimi tempi. Ahmadinejad deve comparire entro un mese dalla ricezione della richiesta, di cui si è saputo martedì, dopo che il vicepresidente del parlamento, Mohammed Reza Banhoar, ha reso noto – in diretta tv – che 79 su 290 avevano presentato una petizione per convocare il presidente e sottoporgli dieci domande su questioni che vanno dalla gestione dei fondi della metropolitana di Teheran alle scelte di politica estera. Non è chiaro, dato che non ci sono precedenti, cosa potrebbe succedere se il presidente rifiutasse di presentarsi davanti ai parlamentari per rispondere alle domande, il cui testo è stato pubblicato dall’agenzia di stampa Fars.

Nel panorama politico e istituzionale della Repubblica islamica si intrecciano diverse questioni. Alcune riguardano la gestione dei fondi pubblici, un tema particolarmente sensibile per Ahmadinejad, che venne eletto a sorpresa al suo primo mandato proprio sulla base di un programma economico di lotta ai privilegi e alla corruzione. Secondo i parlamentari che hanno presentato la richiesta, invece, ci sarebbero stati casi di malversazione dei fondi extra-budget previsti per la metropolitana di Teheran, di cui Ahmadinejad è stato sindaco prima di essere eletto.

Un’altra questione illumina le divisioni che corrono tra i vertici dell’establishment iraniano: le dimissioni del ministro dell’intelligence Heidar Molsehi, ‘licenziato’ dal presidente ad aprile 2011. La guida suprema ayatollah Ali Khamenei, il vertice istituzionale iraniano, ordinò al presidente di reinsediare il ministro, ma Ahmadinejad aspettò 11 giorni prima di rispettare l’ordine, segnalando – su un terreno particolarmente importante come quello dell’intelligence – una profonda divergenza con Khamenei. Terzo, e non meno importante aspetto, ha a che fare con la gestione dell’economia: l’Iran ha crescita zero e un tasso di disoccupazione oltre il 20 per cento, con la moneta nazionale che si svaluta a ogni giro di sanzioni internazionali decise per fare pressione sul governo a proposito del dossier nucleare. Infine, un attacco anche sul piano della ‘correttezza’ dei valori della Repubblica: secondo i parlamentari accusatori non c’è stata l’annunciata severità nel rispetto dei codici di abbigliamento maschili e soprattutto femminili. Inoltre, cosa ancora più grave, Ahmadinejad avrebbe promosso di più il nazionalismo ‘persiano’ rispetto ai valori islamici.

Sullo sfondo, c’è un braccio di ferro in vista delle elezioni parlamentari, che si terranno tra meno di un mese, il 2 marzo. Ahmadinejad potrebbe scegliere di comparire in parlamento dopo quella data, decidendo anche in base al responso delle urne (e si prevedono manifestazioni delle opposizioni, in caso di sospetti brogli come alle scorse presidenziali). Il braccio di ferro si estende anche al voto presidenziale del 2013: Ahmadinejad non può presentarsi per un nuovo mandato e, secondo i media iraniani, starebbe manovrando per passare la guida del paese a Esfandiar Rahim Mashei, il suo più stretto consigliere nonché consuocero: la figlia di Mashei ha sposato il figlio di Ahmadinejad. Nel 2009 Ahmadinejad lo aveva nominato vice presidente, ma il suo incarico è durato solo una settimana: di nuovo Khamenei è intervenuto per chiederne la rimozione. La possibile successione tra i due è stata notata anche da un cablogramma statunitense pubblicato da Wikileaks lo scorso anno. Mashei è una figura controversa: da un lato ha offerto in diverse occasioni pubbliche alcune aperture – nei limiti consentiti dalla cultura politica della Repubblica islamica – verso posizioni più dialoganti con l’Occidente e anche con Israele, dall’altro è ritenuto interno al circolo ‘messianico’ di cui fa parte anche Ahmadinejad, la cui visione religiosa connessa all’imminente ritorno dell’Imam ‘nascosto’, è considerata ‘deviante’ da gran parte del clero sciita e dall’establishment conservatore.

Non ci sono, invece, domande che riguardano il programma nucleare, che tanto preoccupa l’Occidente e Israele, le cui posizioni però rimangono distanti. Secondo il New York Times, infatti, in una conversazione telefonica del mese scorso, il presidente statunitense Barack Obama avrebbe detto al premier israeliano Benyamin Netanyahu che la visione della questione iraniana promossa dal governo israeliano è ‘troppo angusta’. Le indiscrezioni del Nyt indicano che la Casa bianca cerca di prendere le distanze dalle decisioni israeliane o almeno vuole dare questa impressione. La questione, comunque, sarà discussa all’inizio di marzo tra Obama e Netanyahu, atteso a Washington. Per allora, con la campagna elettorale Usa ancora di più nel vivo, si saprà anche che direzione ha preso il braccio di ferro politico aperto a Teheran dalla lettera di convocazione dei 79 deputati del Majlis.

di Joseph Zarlingo

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