Nicholas Economides, docente della Leonard Stern School of Business di New York, e consulente della US Federal Trade Commission

“Lo sapevano tutti che il programma imposto alla Grecia nel maggio del 2010 non avrebbe funzionato. Lo sapeva l’Unione europea, lo sapevano il Fmi e la Bce, lo sapeva il governo greco”. Nelle parole di Nicholas Economides, docente della Leonard Stern School of Business di New York, e consulente della US Federal Trade Commission (dopo esserlo stato anche dei governi di Grecia, Irlanda, Portogallo e Nuova Zelanda), c’è tutta la consapevolezza di chi, per il suo Paese d’origine, le disgrazie le aveva viste arrivare con netto anticipo. Ma anche, aggiungeremmo noi, la chiara percezione di una delle più evidenti realtà della crisi dell’euro. La salvezza dell’Europa, sembrano ripetere ossessivamente Angela Merkel e Nicholas Sarkozy, passa dalla sopravvivenza dell’Italia, non certo – questo non viene detto ma è implicito – dall’ormai impossibile recupero della Grecia. Insomma, l’Europa potrà anche essere salvata ma per la Grecia il futuro resta nero.

Atene affonda, e questo è noto da tempo. Ma il naufragio, è notizia di questi giorni, sarà più disastroso del previsto. L’indiscrezione l’ha lanciata in settimana la Reuters. Il governo greco continua a trattare con i creditori il taglio del valore delle obbligazioni sovrane. Solo che, a quanto pare, sul tavolo dei negoziati non c’è più il famoso 50% ipotizzato a luglio, bensì un più pesante 75%. In pratica è come se Atene chiedesse ai suoi investitori, le banche elleniche in primis, di accettare una svalutazione che abbassasse il prezzo dei titoli a un quarto del loro valore originale. Un colpo micidiale per il già martoriato sistema bancario europeo.

Eppure, nonostante tutto, quel -75% rischia davvero di essere la reale soglia di sostenibilità nella ristrutturazione debitoria del Paese. Interpellato da Ilfattoquotidiano.it, Economides conferma la logica dei numeri. “Per rendere il debito sostenibile – spiega – serve un haircut più profondo, pari al 75% o più. Voglio ricordare che lo stesso capo economista di Citibank (Willem Buiter, ndr) ha parlato di un taglio pari all’85% del valore dei titoli. Ed è meglio che questo avvenga tutto in una volta, invece che a rate imponendo il 50% oggi e un taglio ulteriore in seguito”. Difficile calcolare con precisione l’ammontare delle perdite del nuovo concambio. In estate si calcolava che un taglio del 50% avrebbe imposto una svalutazione di 1,4 miliardi di euro per il sistema bancario francese, il più esposto tra gli stranieri, e di ben 9 miliardi per le stesse banche private elleniche. L’Italia se la sarebbe cavata con una perdita di 207 milioni. Di fronte alle ultime richieste, sostiene la Reuters, le banche coinvolte sarebbero disposte per il momento a cedere fino al 60% del controvalore dei bond di Atene.

Oggi la Grecia vive il suo primo sciopero generale di 24 ore della nuova era Papademos, segno che l’austerity continua ad alimentare il malcontento oltre che a massacrare un’economia che non riesce ad uscire dalla recessione. Il bond greco a un anno rendeva ad agosto oltre il 40%, un tasso già di per sé mostruoso. In questi giorni, riferisce Bloomberg, il suo rendimento è balzato al 317%. Il presente, insomma, significa soprattutto bancarotta. Ma i problemi più evidenti dovrebbero manifestarsi in seguito.

“La proposta franco-tedesca di imporre restrizioni finanziarie (e conseguenti sanzioni, ndr), che alcuni membri dell’eurozona accetteranno e altri no, è fondamentalmente disastrosa – sostiene Economides – . Alcuni Paesi, come Grecia, Portogallo, Italia, Belgio e Irlanda, non saranno in grado di raggiungere i parametri imposti prima di alcuni anni. Altri, invece, non accetteranno di consegnare la gestione dei propri bilanci a Bruxelles e a Berlino”. L’idea, insomma, è che il piano possa funzionare solo per i Paesi che ne hanno meno bisogno, dalla Germania alla Francia, dall’Olanda alla Finlandia. Gli altri, al contrario, “avrebbero ogni incentivo per riprendere a stampare le proprie valute nazionali il prima possibile”, abbandonando l’euro “in modo disordinato” e scatenando “una crisi più lunga e grave rispetto a quella del 2008”. Scenari tremendi, ma per fortuna, aggiungiamo noi, ancora improbabili. Sempre che, è ovvio, i futuri piani di stabilità sappiano tenere adeguatamente conto delle reali possibilità di ciascuno. E questa, ovviamente, non sarà certo un’impresa da poco.

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