L’ultimo superlatitante dei Casalesi, Michele Zagaria

I clan Casalesi non fanno distinzioni di impegno a seconda della cifra. Piccole o grandi, per loro le estorsioni sono tutte importanti. E così applicano la stessa meticolosa strategia criminale nei confronti dell’imprenditore che sta realizzando il più grande centro commerciale d’Europa, strappandogli la cifra monstre di 450.000 euro, anche nei confronti del piccolo commerciante di pomodori in ritardo nei pagamenti di appena 600 euro, inseguito e perseguitato sull’utenza cellulare e costretto a saldare a 200 euro ogni due settimane.

I verbali dei dodici collaboratori di giustizia citati nelle 80 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip di Napoli Maria Vittoria Foschini su richiesta del pm della Dda di Napoli Francesco Curcio e altri nove colleghi, coordinati dal procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho. L’inchiesta, che ha portato a sette arresti – tra cui due fratelli e un cugino dell’inafferrabile boss Michele Zagaria – fa venire a galla la realtà di controllo capillare del territorio e di un racket diffuso e compenetrato nel tessuto economico casertano. Dove ogni importante investimento, pubblico o privato, nel cuore di Gomorra, tra Casapesenna, feudo degli Zagaria, e Marcianise, dove imperano i Belforte, sarebbe passato attraverso le tangenti mediate e imposte dalle cosche.

A cominciare dai lavori del Centro Commerciale Campania, un lago di cemento e negozi nella periferia di Marcianise, ipermercato di grandissime dimensioni ai confini delle province di Napoli e Caserta. Per il quale i Casalesi, si legge nelle carte dell’inchiesta, avrebbero ottenuto una tangente in denaro da 450.000 euro, ma anche lavori in subappalto e forniture di materiali da parte di ditte vicine al clan. Il titolare dell’impresa Rai.Cal racconta così l’incontro nel quale Pasquale Zagaria, uno dei fratelli di Michele, gli dettò le disposizioni.

«Michele Fontana mi condusse in una masseria che credo si trovasse a Casapesenna dove vi erano molte bufale. Preciso che, prima di essere condotto alla masseria, sostammo per circa una mezz’ora nei pressi di una grossa rivendita di mozzarelle presso la quale altre persone mi vennero a prelevare per farmi strada. Una volta giunto nella masseria mi spaventai non poco: notai infatti che vi erano quattro o cinque macchine e una quindicina di persone con fare minaccioso».

Visto il contesto, continua l’imprenditore, pensai che convenisse “acconsentire a tutte le richieste perché altrimenti non sarei uscito vivo. Parlai con Pasquale Zagaria il quale subito mi chiese anch’egli un milione di euro. Io rappresentai immediatamente che ero stato avvicinato anche dai camorristi di Marcianise e che non potevo certamente pagare a entrambi, ma lo Zagaria mi disse che avrei potuto saldare direttamente a loro (al clan Belforte di Marcianise, ndr) la cifra richiesta e che gli stessi casalesi avrebbero poi risolto la vicenda con i marcianisani».

E infatti, spiega il pentito Michele Froncillo in un interrogatorio del 10 settembre 2007 “non deve meravigliare che il clan dei Casalesi su appalti e lavori gestiti da loro riconoscessero dei soldi anche al clan Belforte. In effetti, questo faceva parte di un accordo di carattere generale tra i due gruppi, per cui – esclusi i paesi “paterni” di Casal di Principe e Marcianise – era previsto che sui lavori di grosso importo il clan che controllava il relativo territorio riconoscesse all’altro una quota della tangente”. Così per esempio accadde “per la costruzione del carcere di Santa Maria Capua Vetere, di una grossa scuola nella stessa città, per i lavori appaltati alla ditta Pontello Costruzioni e per la costruzione della linea dell’Alifana”.

Il collaboratore ricorda “la situazione anomala che si verificò con Michele Zagaria in relazione ad una concessionaria di pentole, la Imco. Devo premettere che tale ditta versava ai Belforte la somma di 15 milioni annui suddivisa in tre rate, a Natale, Pasqua e Ferragosto. L’anomalia era data dal fatto che, pur essendo una ditta di Marcianise, questi soldi ci venivano versati attraverso i Casalesi, dal momento che la gestione della ditta era sostanzialmente curata dalla moglie di Tavoletta detto Zorro, poi deceduto”.

Situazioni analoghe si sono verificate “anche in relazione a tre grossi lavori svolti a Marcianise, e in particolare ai lavori per la costruzione delle fogne da parte di una ditta facente capo a Costantino ‘o repezzato’ e suoi familiari; dei lavori di pavimentazione e sistemazione urbana della zona “Asi” di Marcianise realizzata dagli zii di Tonino Iovine detto “’o ninno”, nonché la realizzazione del “Pic” di Marcianise da parte di Pasquale Zagaria”.

Niente e nessuno poteva sfuggire a questo sistema. Nemmeno i parenti dei camorristi. Michele Fontana, una delle persone arrestate, estorceva denaro anche a uno zio materno, titolare di un caseificio. E andò avanti nonostante l’intervento della madre in favore del fratello. «Lui non è più furbo degli altri» gli rispose Fontana, come risulta da un’intercettazione telefonica citata nell’ordinanza. «Deve cacciare i soldi», dice Fontana alla madre, Maria D’Aniello. La donna è incredula: «Deve cacciare?». Il figlio conferma: «Sì. Lui è più diritto (furbo, ndr) degli altri?». E cadono nel vuoto le suppliche e i consigli della madre a cambiare stile di vita: «Devi fare questo, devi campare sui cristiani? Ma togliti di mezzo a queste cose, abbi pazienza, togliti di mezzo a queste cose… Ma come devo fare?».

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