La possibilità di un declassamento era nell’aria dall’avvertimento del 17 giugno scorso, ora è diventata realtà: l’agenzia Moody’s ha deciso di tagliare il rating dell’Italia di tre livelli, portandolo da Aa2 ad A2, con outlook negativo. Il 20 settembre scorso era stata l’agenzia Standard&Poor’s a tagliare l’affidabilità del nostro debito, portandolo da A+ ad A. Due settimane fa Silvio Berlusconi dava tutta la colpa alla stampa, ora invece rispolvera la vecchia ricetta dell’ottimismo: “Non cambia nulla, stiamo lavorando per la crescita. Andiamo avanti, la Ue ci approva”. Ma la valutazione dell’Italia, pari a quella di Malta e inferiore a quella di Slovacchia ed Estonia, è sempre più vicina a quella dei fanalini di coda d’Europa.

Le motivazioni del provvedimento di Moody’s in una nota dell’agenzia, secondo cui il downgrade del rating dell’Italia è dovuto “in parte ai rischi derivanti dalle incertezze economiche e politiche” e “in parte all’aumento dei rischi al ribasso per la crescita economica e all’indebolimento delle prospettive globali”, nonché al generale calo della fiducia nelle emissioni di debito dei paesi dell’Eurozona. Secondo l’agenzia, inoltre, “il rischio di default  per l’Italia è remoto, ma la vulnerabilità del Paese è aumentata”. Tutto ciò, fanno sapere dall’agenzia di rating, nonostante “alcuni aspetti positivi”, tra cui “la mancanza di significativi squilibri nell’economia o di forti pressioni sui bilanci del settore finanziario privato e non privato, così come le azioni intraprese dal governo dopo l’estate”.

“La decisione di Moody’s è una mazzata”, dice il segretario del Pd Pierluigi Bersani. In effetti, paragonando la situazione dell’Italia a quella degli altri paesi d’Europa, emerge un quadro preoccupante. Il nuovo rating (“A2”, di tre gradi inferiore ad “Aa2” precedente) pone l’Italia alla pari di Malta e ormai al di sotto della Spagna in termini di affidabilità per i creditori.

Si tratta, mutuando una terminologia calcistica, di una retrocessione di diverse categorie. Il precedente rating “Aa2”, del resto, annoverava il Paese nella categoria immediatamente successiva alla “tripla A” della quale godono Stati Uniti e Canada. I paesi con rating “Aa”, invece, sono considerati “a rischio di credito molto basso”, mentre i rating “A” indicano un “rischio basso” ma con elementi “che suggeriscono una suscettibilità all’indebolimento nel breve termine”. Nell’ Eurozona attualmente nel club della “Tripla A” figurano Germania, Francia, Lussemburgo, Austria, Finlandia e Olanda. Nella categoria “Aa” – alla quale appartiene anche il Giappone (“Aa3”) – ci sono Belgio (“Aa1”), Spagna (“Aa2”) e Slovenia (“Aa3”). A farci compagnia nella classe “A” troviamo Estonia e Slovacchia, che però, a differenza nostra, hanno un rating “A1”, quindi superiore a quello dell’Italia. Ciò significa che in Europa al nostro stesso livello c’è solo Malta, che ha come noi un rating “A2”. Chi sta peggio dell’Italia? In pochi. Per la precisione si tratta solo di Cipro (“Baa1”) e, a un livello ormai spazzatura, Irlanda (“Ba1”), Portogallo (“Ba2”) e Grecia (“Ca”).

Immediata la risposta che arriva da Palazzo Chigi, secondo cui la decisione di Moody’s era “attesa”. E mentre il presidente del Consiglio insiste col suo mantra (“non cambia nulla, andiamo avanti, stiamo lavorando sulle misure per la crescita”, spiega Berlusconi), il governo sottolinea in una nota che “sta lavorando con il massimo impegno per centrare gli obiettivi di bilancio pubblico. Quegli stessi obiettivi che sono stati oggi accolti positivamente e approvati dalla Commissione europea”. Lavoro, massimo impegno, decisione attesa. A quanto pare, però, ad essere atteso era il taglio, non la sua portata. Bersani va all’attacco e torna a chiedere una svolta politica: “L’Italia è meglio di quel rating, ma se non c’è un cambiamento la sfiducia rischia di tirarci a fondo”.

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