Sarà interrogato a breve il vicepresidente del Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna, Omer Degli Esposti. I pm Walter Mapelli e Franca Macchia lo aspettano infatti in procura a Monza dove il manager d’origine modenese deve rispondere del reato di concussione nell’inchiesta su un presunto giro di tangenti per la riqualificazione delle aree ex Flack e Marelli a Sesto San Giovanni. Nella storia del Ccc, però, non si tratta della prima indagine a cui il consorzio viene sottoposto.

Dal Civis e dal People Mover si deve procedere a ritroso verso la Stalingrado d’Italia. Il Consorzio cooperative costruzioni è un colosso che gestisce più di un miliardo in appalti e che ha partecipazioni in molti settori. Le cooperative che aderiscono al Ccc sono 230 mentre 20 mila gli occupati nelle varie attività. Un colosso nato nel 1912 che si è aggiudicato lavori importanti, come l’alta velocità Milano-Bologna, il passante di Mestre o l’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma.

Un ritmo di opere e appalti in cui ci sarebbero anche gli inciampi che hanno fatto drizzare negli ultimi mesi le orecchie alla magistratura. Sul fronte bolognese, c’è quello occorso al presidente del Ccc, Piero Collina, indagato la primavera scorsa nell’ambito dell’affare Civis, il tram su gomma a guida ottica da 140 milioni di euro mai realizzato e che ha chiamato in causa anche l’ex sindaco Giorgio Guazzaloca (a palazzo D’Accursio dal 1999 al 2004), accusato di corruzione.

Il secondo inciampo, invece, è il People Mover, una navetta su monorotaia che dovrebbe coprire il percorso stazione centrale-aeroporto impiegando 7 minuti e mezzo. Per questo progetto Ccc si è aggiudicata la realizzazione e una concessione di 35 anni, entrambe in carico a una società costituita ad hoc, la Marconi Express. Ma anche in questo caso la magistratura ha voluto vederci più a fondo e indagini della Corte dei Conti e della procura stanno infatti cercando di chiarire aspetti legati alla suddivisione degli importi dell’intervento (90 milioni di euro), oltre a ritardi e a modalità di gestione della gara d’appalto.

E poi un mese fa, a fine luglio 2011, lo scenario di sposta a Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia. Dalla procura di Monza il vicepresidente Degli Esposti è stato iscritto sul registro degli indagati perché – ipotizzano i magistrati – avrebbe fatto pagare una tangente da 2,4 milioni di euro al costruttore Giuseppe Pasini sotto forma di consulenze a due professionisti vicini alle coop rosse. 
Inoltre in questi giorni sono nate altre grane per il colosso delle cooperative.

Secondo i magistrati lombardi, Filippo Penati, ex sindaco di Sesto e vicepresidente dimissionario del Consiglio regionale lombardo (è stato anche presidente della Provincia di Milano), avrebbe imposto sempre a Pasini, proprietario dell’area Flack dal 2000 al 2005, la partecipazione delle cooperative emiliane al grande affare immobiliare e di versare una tangente di 20 miliardi di vecchie lire. Condizioni necessarie per poi garantire l’approvazione di un progetto di riqualificazione remunerativo. Cosa che però poi non avvenne.

Gli affari del dopo terremoto del 1980 e l’ombra della camorra. Ma guai giudiziari per il Consorzio cooperative costruzioni erano già sorti anni addietro. Stavolta la location cambia, ci si deve trasferire al sud, in Campania. E l’affare si lega alle opere per la ricostruzione del dopo terremoto che il 23 novembre 1980 rase al suolo anche la Basilicata. I processi, finiti per lo più con assoluzioni per la mancanza di prove che dimostrassero nello specifico connivenze con la criminalità organizzata locale, avevano però ricostruito un “sistema” (come viene definito sia negli atti giudiziari che in sede di commissione anfimafia) legato a un circolo poco virtuoso del calcestruzzo.

Secondo le ipotesi della procura di Napoli e di Nola, si sarebbe giocato su una diversa lavorazione dei derivati del cemento (da scarico libero a pompato, procedura più cara) che avrebbe fatto innalzare il costo degli interventi. E non di poco, in base ai punti da cui avevano preso le mosse i magistrati campani. Per esempio, per realizzare una variante lungo la Statale 268 del Vesuvio si era passati dagli iniziali 48 a 300 miliardi di lire mentre per la sistemazione del Canale Conte di Sarno l’oscillazione era stata da 15 a 501 miliardi.

I carabinieri del Ros di Napoli avevano seguito tracce informatiche e trasmissioni via fax del Consorzio cooperative costruzioni di Bologna e della Conscoop di Forlì perché – come dichiarò in sede d’udienza l’ufficiale dell’Arma Giuseppe De Donno – si voleva accertare se fatturassero “la fornitura del calcestruzzo in quantità maggiori rispetto a quelle impiegate o fatturavano una tipologia di lavoro piuttosto che un’altra” e se esistesse una documentazione contabile parallela non trasmessa alla magistratura.

Inoltre, come fece notare anche Luciano Violante in commissione antimafia, c’era il sospetto che tra i subappaltatori ci fossero aziende e personaggi legati alla camorra. Emerse, sia durante le indagini che nei processi, il nome della Agrobeton, riconducibile a Carmine Alfieri, e fu giudicato anomalo il modo con cui interventi come quelli sopra citati andarono alle cooperative emiliane, che avrebbero ai tempi beneficiato di un intervento diretto da parte del commissario straordinario del governo (il presidente della Regione), che godeva di poteri specifici nella gestione dei lavori pubblici.

Le assoluzioni: non vennero dimostrati l’associazione mafiosa e il concorso esterno. Quando le indagini si chiudono, per alcune ipotesi di reato (come la turbativa d’asta) è giunto il tempo delle prescrizioni e, per quanto rimane perseguibile, i diversi tronconi investigativi si trasformano in abbreviati e in riti normali. Gli emiliani vengono assolti per non aver commesso il fatto, sentenza che viene festeggiata da giornali come “Cooperazione italiana” nei termini di una vittoria. In sede di giudizio, infatti, non verranno dimostrati l’associazione di stampo mafioso e nemmeno il concorso esterno degli imprenditori o dei dirigenti inquisiti.

Filippo Beatrice, sostituto procuratore della Dda di Napoli, commenterà: “Le indagini hanno preso le mosse dalle dichiarazioni collaborative dei capi della camorra della provincia, in particolare di Carmine Alfieri, […] arrestato nel settembre del 1992, e di Pasquale Galasso, suo luogotenente ma anche vero e proprio capo riconosciuto […]. Erano state comunque individuate alcune irregolarità perché le procedure relative agli appalti non erano state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale ma soltanto in quella della Comunità europea […]. L’attività investigativa da noi svolta si è [tuttavia] incentrata più sull’aspetto camorristico che non su quello amministrativo”. Dunque niente associazione e concorso esterno, esclusi con una prima sentenza del 21 marzo 2002, confermata in secondo grado il 28 giugno 2004 e poi diventata definitiva.

di Antonella Beccaria e Nicola Lillo

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