Il 2011 è stato l’anno più difficile della storia politica di Silvio Berlusconi. Il suo consenso personale è precipitato, l’azione di governo è stata lenta, le tensioni nella maggioranza sono cresciute e ora sono divenute esasperanti. In sei mesi sono stati compromessi 17 anni di lavoro su sogni, immagini, visioni.

Ma com’è stato possibile? Berlusconi non si è reso conto, in questi mesi, di aver perso il polso del Paese? Mi sono fatto questa domanda perché sono cresciuto nel mito del Berlusconi “sondaggista”, abituato a leggere ogni lunedì le tabelle di Alessandra Ghisleri che indicavano la strada da intraprendere, le scelte da mettere da parte, le parole-chiave, quelle da evitare. Da questi dati si ricavavano persino le regole di ingaggio comunicativo da condividere con gli scudieri che si presentavano davanti alle telecamere televisive.

Dall’esterno, la macchina del consenso berlusconiana sembrava perfetta: nonostante il vuoto pneumatico di politica e la assai deludente stagione da pubblico amministratore, Berlusconi ha stravinto quando c’era da vincere e non ha perso male quando la situazione era disperata in partenza.

Qualcosa, però, dev’essere successo: andando a studiare tutte le ricerche condotte da settembre 2010 a oggi raccolte sul sito ufficiale della Presidenza del Consiglio dei ministri, ho scoperto una sostanziale indipendenza delle scelte di Berlusconi rispetto alle indicazioni provenienti da indagini popolari. Anche quando i dati indicavano che una maggioranza schiacciante degli italiani non condivideva le scelte del Governo, del Pdl e della Lega, il premier e Bossi tiravano dritto.

I risultati sono, oggi, sotto gli occhi di tutti. Li ho organizzati in questa presentazione. La storia d’amore tra Berlusconi e i sondaggi è finita?

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