Il presidente del Consiglio Berlusconi con il Primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra in un incontro a Roma del 2004

La Thailandia volta pagina e indossa la “camicia rossa”, simbolo dell’opposizione al governo dei Democratici, che oggi cedono il potere a Bangkok. Le elezioni politiche di ieri hanno sancito la netta vittoria del partito Pheu Thai (Per i thailandesi), guidato da Yingluck Shinawatra, sorella dell’ex primo ministro, il “berlusconi thailandese” Thaksin Shinawatra, in esilio per corruzione. Il suo partito dei “rossi” ha ottenuto 265 seggi in Parlamento (su 500 totali), mentre i democratici di Abhisit Vejjajiva, premier uscente, ne hanno guadagnati solo 160.

La svolta è doppia: da un lato il Paese abbandona la leadership “gialla” (il colore dei Democrats) che è stata al governo negli ultimi 5 anni; dall’altro sceglie per la prima volta nella storia della nazione una donna premier. E’ una scommessa vinta dai seguaci di Shinawtra che – a 13 mesi dalla rivolta popolare nelle strade di Bangkok, repressa con l’intervento militare (90 morti e duemila feriti) – hanno saputo riorganizzarsi e ripresentarsi al voto. Il tutto nonostante i duri colpi inflitti dal governo, che ha utilizzato metodi e misure al limite della democrazia e dello stato di diritto.

Il voto, in un Paese spaccato a metà, che cerca da anni la strada per una riconciliazione nazionale, non ha registrato le violenze che si temevano alla vigilia. Il sud della Thailandia ha votato per i Democratici, il nord rurale ha dato la maggioranza dei consensi ai rossi che, a sorpresa, hanno conquistato anche la capitale Bangkok. Questo è stato il segnale inequivocabile di una debacle su tutta la linea per il governo uscente. I Democratici non hanno saputo rispondere alle attese e ai bisogni delle fasce più povere della popolazione, soprattutto delle masse rurali. I rossi invece, negli ultimi 13 mesi, hanno condotto una campagna elettorale capillare, raggiungendo i villaggi più remoti, guadagnandosi il consenso dei contadini, la vera “pancia” del paese.

Altri due elementi hanno pesato sulla leadership gialla, che oggi lascia il governo. Il primo è la campagna di repressione e di limitazione delle libertà lanciata all’indomani delle violenze del 2010 e proseguita fino a ieri. Attivisti “rossi” in carcere, conti bancari bloccati, chiusura di giornali, tv, radio e blog che si opponevano al governo. Un governo democratico accusato dagli osservatori, anche stranieri, di “violare i diritti umani elementari”, non ha offerto certo una buona immagine di sé, prestando il fianco a una insperata rivincita. Inoltre ha pesato come un macigno sulla coscienza collettiva il silenzio dell’esecutivo davanti agli interrogativi suscitati dalla Commissione speciale istituita per indagare sulla repressione di un anno fa: chi ha ucciso? Perché i militari hanno caricato i civili? Tante altre domande sono rimaste inevase, una grave omissione che, secondo la stampa thai, è alla radice della sconfitta odierna.

Da parte sua, la 44enne Yingluck Shinawatra ha annunciato che le priorità del nuovo governo saranno la riconciliazione, la lotta alla povertà e la ripresa economica del Paese. Inoltre ha detto di volersi ispirare a valori di trasparenza, onestà, legalità, determinanti per una buona governance. E, mostrando tutta la sua buona volontà, già nel primo giorno post vittoria ha proclamato di aver raggiunto accordi con quattro partiti minori, per formare una solida coalizione di governo. L’unione avrebbe 299 seggi sui 500 della Camera bassa del Parlamento, un buon margine di maggioranza.

Le incognite sul nuovo governo sono principalmente due. In primis, la longa manus dell’ex Thaksin Shinawatra che, secondo alcuni, sarà il “Premier di fatto” grazie alla collocazione politica della sorella. Thaksin, secondo alcuni analisti, potrebbe cercare di rientrare nel Paese a breve, ma oggi le “camicie rosse” sono un movimento eterogeneo e non tutti i gruppi che ne fanno parte sono accesi sostenitori dell’ex, controverso, Primo ministro.

La seconda incognita è un possibile intervento militare per scongiurare la deriva populista nel Paese: molti ricordano il 2006, quando un golpe orchestrato dai generali decretò la caduta di Thaksin. Anche questa ipotesi, però, è giudicata piuttosto remota. I leader dell’esercito si sono affrettati a riconoscere il verdetto delle urne e, intanto, la società thai è più matura, consapevole e democraticamente attiva rispetto al passato, dunque non lo accetterebbe. Quello che la gente chiede è lotta alla corruzione, legalità, pari opportunità, rispetto dello stato di diritto. Su queste sfide si misurerà il nuovo governo al femminile.

di Sonny Evangelista

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