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Per cosa ci indigniamo ancora?

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Il fenomeno letterario di fine anno, in Francia, è un breve saggio di Stéphane Hessel, intitolato “Indignez-vous!”.

Novantatreenne, protagonista della Resistenza francese, co-redattore della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, ambasciatore di Francia, Stéphane Hessel è riuscito, nel giro di poche settimane, ad incantare 650.000 lettori francesi (fonte Le Monde). Pubblicato con una tiratura iniziale di 8.000 copie, le (sole) 28 pagine del suo saggio hanno il fascino dell’essenziale.

L’indignazione, afferma Heissel, è stato il motivo essenziale della Resistenza, ma quella stessa indignazione dovrebbe alimentare i nostri animi, di fronte alle dinamiche del mondo moderno.

Il dito è puntato, oltre a questioni nazionali, su temi di carattere globale: il crescente ed inaccettabile divario tra i (pochi e sempre più) ricchi e la moltitudine di poveri, lo stato del pianeta, il trattamento riservato agli immigrati, la corsa alla competizione che alimenta ormai le dinamiche sociali, la progressiva riduzione delle pensioni.

Poche parole, chiare, essenziali, che consentono di cogliere la drammaticità di una situazione che, ancorché reale, è ormai oggetto di una sorta di assuefazione tale da non provocare più in tutti noi neanche quel sentimento che le è strettamente connaturale: l’indignazione, appunto.

L’invito finale dell’autore è quello di dare inizio ad una “insurrezione pacifica”. Una insurrezione di valori, che, però, si rifletta concretamente sul nostro comportamento quotidiano. La responsabilità più grave di quanto sta accadendo, infatti, è da lui individuata nella nostra indifferenza.

L’invito di Hessel, in Francia, è stato accolto con un successo editoriale che vanta pochi precedenti, segno di un Paese ancora attento, e non del tutto indifferente, a certi valori.

E noi… per cosa siamo ancora capaci di indignarci?

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