Jafar Panahi
Il regista iraniano Jafar Panahi al Festival del Cinema di Berlino nel 2006 - Foto LaPresse

La notizia è di quelle che veramente fanno male. Un po’ come quando ti dicono che un amico sta morendo e tu non sai più dove mettere le mani e indirizzare lo sguardo.

La ventiseiesima sezione del Tribunale Islamico di Teheran ha condannato il cineasta Jafar Panahi, sostenitore di Mir Hossein Moussavi nella campagna presidenziale dell’anno scorso, a cinque anni di prigione, per aver fatto parte di un’organizzazione illegale “a scopo di sovvertire lo Stato”, a cui va aggiunto un altro anno di reclusione per “attività di propaganda lesive dell’immagine della Repubblica Islamica”. Inoltre la condanna prevede l’interdizione a “dirigere film di ogni tipo, di scrivere sceneggiature, di concedere interviste alla stampa nazionale e internazionale e di recarsi all’estero se non per motivi di salute o pellegrinaggio alla Mecca dietro una cauzione da stabilire”. Considerando che Panahi ha 49 anni, significa decretare in maniera definitiva la fine della sua attività di regista.

Un regista, vale la pena ricordarlo, che ha vinto la Camera d’Or a Cannes, il Leone d’Oro a Venezia, il Pardo d’Oro a Locarno, “Un certain regard” ancora a Cannes, partecipando con tutti i suoi film ai maggiori festival del mondo.

Quando Panahi, lo scorso anno, venne arrestato per aver partecipato alla commemorazione di una giovane donna uccisa durante la contestazione delle elezioni di giugno, che avevano decretato il secondo mandato presidenziale di Ahmadinejad, i cineasti europei, anche quelli italiani, si mobilitarono, soprattutto attraverso la rete. Poi, come spesso accade, è subentrato il silenzio, figlio della dimenticanza. Panahi quest’anno non arriva a Cannes, dove è invitato in giuria, ma ormai non fa più notizia.

Ecco, mi piacerebbe che tutti i miei colleghi che per una notte si sono sentiti rivoluzionari, occupando la Casa del Cinema, o per un pomeriggio barricaderi, invadendo il tappeto rosso del festival con la effe minuscola del cinema di Roma, trovassero il tempo, l’energia e la voglia di gridare forte il loro sdegno.

Panahi è un uomo, come tanti, vittima di un potere violento, che non vuole garantire in maniera egualitaria i diritti dei propri sudditi. Ma è anche un regista, che è riuscito a emozionare gli spettatori di tutto il mondo:  rispetto ai tanti, ha il vantaggio che è conosciuto da molte più persone. Anche se è Natale, e siamo distratti dalle luci, dai regali, dai decreti salvacinema, dai cinepanettoni, dai pranzi, dalle chiacchiere, dalla baldoria, da Muccino junior paragonato a Frank Capra (!), facciamo qualcosa per lui.

O meglio, almeno proviamoci.

In fondo, domani potrebbe toccare a noi, vero Gasparri?

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