Un anno in più, ancora un anno. Per completare “la realizzazione del progetto di rimodulazione della governance”. Il linguaggio è quello nobile dell’accademico, l’obiettivo è più terra terra: rimanere attaccati più a lungo alla poltrona e al potere. Succede a Messina, dove il Magnifico Rettore dell’Università, il professor Francesco Tomasello, ha chiesto e ottenuto una proroga degli incarichi di dodici mesi per sé e per i Presidi delle facoltà, tutti quasi al termine del secondo e ultimo mandato. Serviva addirittura una modifica dello Statuto e il Senato Accademico non s’è fatto pregare: due soli i voti contrari, una manciata gli astenuti.
È come se Letizia Moratti facesse votare dall’assemblea comunale di Milano una legge che prolunga da cinque a sei anni il suo incarico e quello dei consiglieri. Da subito, non dalla prossima elezione. Una sorta di referendum: vuoi gestire il potere per un anno in più? sei interessato a intascare dodici mesi in più di indennità? È così che nel Paese delle leggi ad personam è arrivata una legge ad Rectorem. Un provvedimento palesemente illegittimo, secondo la parlamentare del Pd Doris Lo Moro che ha presentato un’interrogazione urgente al ministro dell’Università. La corsa è contro il tempo, prima che il dicastero della Gelmini si pronunci a favore della modifica allo Statuto dell’Ateneo peloritano.
Il “verminaio”. «Un percorso ormai cominciato e che non si interromperà per nessun motivo al mondo», ha dichiarato il Rettore all’indomani del provvedimento. «Quelli che contestano queste scelte sono “i soliti noti”, che vogliono il male dell’Ateneo», sono state le sue parole contro chi, nel corpo docenti, sta provando a opporsi in tutti i modi al suo strapotere. Un discorso a metà tra Cetto La Qualunque e Totò “vasa-vasa” Cuffaro, sospeso com’è tra la Calabria e la Sicilia.  Come lo stesso Ateneo, finito negli anni nel mirino della criminalità organizzata al di là dello Stretto: per gli inquirenti, il boss della ‘Ndragheta Giuseppe Morabito “U tiradrittu” era una sorta di rettore-ombra. Erano anni in cui quel  “verminaio”, come lo definì l’allora vicepresidente della Commissione Antimafia Nichi Vendola, era al centro di una serie di interessi che vedevano insieme, in un comitato d’affari, politici, colletti bianchi e uomini d’onore. Così, negli anni l’Università di Messina è diventata teatro di un vero e proprio “romanzo criminale”: un docente ucciso, un altro gambizzato, altri arrestati o indagati.
Un Rettore, due processi. Da Rettore, Tomasello è finito due volte sotto inchiesta. La prima, nel 2007, per aver fatto pressione su un presidente di commissione per un posto di professore associato nella sua Università. Secondo l’accusa, tutto era già stato deciso a tavolino: quel posto sarebbe dovuto andare al figlio del pro-Rettore Battesimo Macrì. Ma qualcosa va storto: «Il rettore mi ha convocato e mi ha detto che il concorso stava prendendo una direzione non auspicata in quanto non sarebbe stato dichiarato idoneo Francesco Macrì, figlio di Battesimo – ha dichiarato ai magistrati Orazio Catarsini, ex preside della Facoltà di Veterinaria -. Ciò era dovuto alle resistenze opposte da Cucinotta (presidente di commissione, ndr). Il rettore mi chiese in maniera accorata e pressante di intervenire sul Cucinotta per riferirgli che il concorso doveva andare nella direzione auspicata, in caso contrario sarebbe dovuto andare in bianco». L’inchiesta scatta nell’estate del 2007: il pro-rettore, Battesimo Macrì, viene arrestato; il Rettore Tomasello viene indagato e sospeso per due mesi dalle sue funzioni. Ora è sotto processo, insieme ad altre 22 persone con l’accusa di abuso di ufficio e tentata concussione.
Una nuova interdizione, sempre per due mesi, arriverà alla fine del 2008 per altri presunti concorsi truccati: il procedimento è ora pendente davanti al Gup. Perché una cosa è certa: quello di Messina, più che ogni altro in Italia, è l’Ateneo di amici e parenti. Ci sono i figli, i fratelli, le amanti che fanno carriera. E ci sono le mogli. Come Melitta Grasso,  consorte del rettore Tomasello, neurochirurgo e dirigente universitaria del Policlinico incappata, anche lei come il Magnifico marito, nelle maglie della giustizia: a fine 2008 è stata coinvolta in un’inchiesta su un appalto per la sorveglianza del Policlinico che una società di vigilanza si era aggiudicata per quasi 2 milioni di euro. Un contratto che, dopo l’avvento di un commissario straordinario, oggi costa appena 300 mila euro. Tutto durante il rettorato di suo marito, che continua a ignorare le proteste e va avanti per la sua strada: «Capisco che la nostra azione abbia dato fastidio a qualcuno, perché stiamo smantellando centri di potere». Tutti, tranne il suo.

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