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I “ribelli” di Palazzo Madama che il contratto non prevede

Voci critiche - Dai diritti civili all’immigrazione fino all’Agricoltura Viaggio tra i senatori del Movimento (che non stanno zitti)

22 Maggio 2018

La scorsa legislatura, la prima del Movimento Cinque Stelle in Parlamento, fu il teatro della falcidia: tra espulsioni e addii, si persero per strada 15 dei 53 eletti a Palazzo Madama, il 28 per cento del gruppo. Se ne andò, insomma, quasi un senatore grillino su tre. Allora, si stava all’opposizione. Stavolta, l’aula che si appresta a votare la fiducia al governo gialloverde sulla carta conta – oltre ai 58 leghisti – 109 senatori M5S, che porterebbero in dote all’esecutivo 167 sostenitori, sei sopra la maggioranza assoluta (peraltro richiesta in uno sparuto numero di occasioni).

Eppure, il precedente della scorsa legislatura potrebbe non essere benaugurante per la stagione che sta per cominciare. Non è un caso che Luigi Di Maio abbia voluto trasferire al Senato alcuni dei suoi uomini di fiducia, a cominciare da Danilo Toninelli. Guida, il neo capogruppo, una ventina di eletti riconfermati, quasi tutti di stretta osservanza dimaiana, compreso il nuovo vicepresidente del gruppo Stefano Patuanelli, ex consigliere comunale a Trieste. Più variegato è il corpaccione delle new entry, frutto del successo alle politiche del 4 marzo. La squadra è a forte trazione meridionale: calabresi, siciliani, campani e pugliesi superano da soli la metà del gruppo toccando quota 55, esclusi i parlamentari uscenti. Rispetto al 2013, come noto, ci sono anche una serie di professionisti che non hanno un trascorso da attivisti del Movimento e che sono stati candidati nei collegi uninominali. Solo per citarne alcuni, il giornalista Primo Di Nicola, il chirurgo Pierpaolo Sileri, il fondatore dell’Adusbef Elio Lannutti, l’ufficiale di Marina Gregorio De Falco.

Che sia dovuto alla storia personale o sia da attribuire alla maggiore età, è un fatto che proprio da Palazzo Madama, in queste settimane, si siano alzate le uniche voci critiche sull’alleanza di governo con la Lega. Ed è sempre al Senato che siedono le sensibilità potenzialmente più divergenti dal “contratto” che Di Maio e Salvini firmeranno nelle prossime ore. Capofila, per nulla reticente, è Paola Nugnes, la senatrice vicinissima a Roberto Fico che, da giorni ribadisce tutte le sue perplessità sull’accordo con la Lega, in particolare sull’immigrazione e sulla legittima difesa. E ancora l’altroieri, a Repubblica, chiariva: “Mi riservo di fare il mio lavoro di senatrice, quello per cui sono stata eletta”. Della stessa “squadra”, particolarmente attiva sui temi ambientali, fanno parte altri parlamentari campani come Vilma Moronese, Maria Domenica Castellone, Virginia La Mura e il professor Ugo Grassi.

C’è poi Saverio De Bonis, neo senatore eletto a Potenza, che ha pubblicamente espresso il suo disappunto per l’interesse di Matteo Salvini al ministero dell’Agricoltura: “Peccato – scrive De Bonis – che solo qualche anno fa, nel 2014, la Lega chiedeva la soppressione del ministero. Ora, dopo averlo guidato con Luca Zaia direttamente e con Giancarlo Galan dal 2008 al 2011 durante il governo Berlusconi, ne reclamano nuovamente la guida. Quindi, mi pare di capire, il Mipaaf è utile per i leghisti solo quando si parla di ‘spartizione delle poltrone’? (…) Solo se il Mipaaf sarà a guida M5S – aggiunge – potremo adeguatamente premiare il sacrificio dei produttori agricoli”.

La Lega non ha fatto mistero di avere a cuore anche il pacchetto delle infrastrutture: chissà cosa ne pensa il neo senatore grillino Gianmarco Corbetta, che in Brianza da anni porta avanti la battaglia No-Ped, quella contro l’autostrada Varese-Bergamo, tanto cara agli amministratori della Lega. Altro tema “divisivo”, i diritti civili. Al Senato, per dire, siede Matteo Mantero, che nella scorsa legislatura ha scritto la legge sul biotestamento, quella su cui Salvini disse: “Mi occupo dei vivi, non dei morti”. A Palazzo Madama c’è anche Alessandra Maiorino, eletta a Fiumicino e paladina anti-omofobia.

Tra i “vecchi” non mancherà di farsi sentire Nicola Morra, custode dell’ortodossia M5S che, non a caso, la settimana scorsa ha auspicato che “Beppe” sia “presentissimo, vigile, sempre pronto a stimolare e sollecitare”. Ieri, durante l’assemblea con Di Maio, Morra ha fatto un paio di appunti al nascente governo, in particolare su scuola e infrastrutture al Sud. Coscienza critica anche quella di Elio Lannutti che da giorni cannoneggia contro il premier “tecnico” e ieri ha – pacatamente – detto la sua sul toto-ministri: “Leggo nomi estranei a principi e valori, cariatidi, lestofanti del potere marcio e corrotto, legati a cricche, logge coperte, grembiulini, pseudo Autorità e manutengoli del potere che ho combattuto per oltre 30 anni. Spero di sbagliarmi, ma se così fosse, sarebbe una tragedia ed il tradimento di un sogno”. Infine, aveva detto la sua Gianluca Ferrara, direttore di Dissensi Edizioni, oggi senatore M5S, assai scettico sul corso delle trattative: “Sono favorevole a puntare a trovare un dialogo e a stipulare un contratto per il bene dell’Italia che è superiore a ogni logica di bottega, ma con certi politici di professione anche un contratto temo sarebbe come mescolare un buon whisky d’annata con mezzo litro d’acqua”.

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