Editto bulgaro & C. I killer della Rai
Dopo aver assistito alla televendita della presidente del Consiglio a Domenica In (invenzione del compianto Pippo Baudo in anni ormai remoti), con la scusa di sponsorizzare la qualità del cibo italiano e il reale intento di sostenere in maniera occulta i candidati della destra nelle Marche e in Calabria, possiamo dire che anche l’ultima trincea sia saltata.
E così, dopo l’esodo di volti noti e notissimi verso la concorrenza, dopo il crollo di ascolti di quasi tutti i programmi di punta di “TeleMeloni”, dopo il sorpasso del Tg5 ai danni del Tg1, de La ruota della fortuna (nobile invenzione di Mike Bongiorno) di Gerry Scotti a scapito della vetusta formula dei pacchi ora affidata a Stefano De Martino, di Verissimo nei confronti di Ciao Maschio e di Tu sì que vales ai danni di Ballando con le stelle (nell’Eva contro Eva fra De Filippi e Carlucci), dopo il collasso di ascolti in tutte le fasce orarie e dopo il silenzio imbarazzato e imbarazzante sul genocidio in corso a Gaza, siamo ora costretti a fare i conti con l’occupazione definitiva di quello che fu il servizio pubblico.
E L’occupazione è, non a caso, anche il titolo del nostro libro: un saggio necessario che ripercorre la storia della Rai dal 1975, anno in cui il 14 aprile fu varata la legge 103, meglio conosciuta come “lottizzazione”, ai giorni nostri. Per quanto discutibile, non c’è dubbio che la rivoluzione avvenuta fra il ’75 e il ’76, con la riforma già menzionata e la sentenza della Corte costituzionale n. 202 del 28 luglio 1976, che di fatto apriva alla liberalizzazione delle trasmissioni, a patto che fossero a livello locale (il monopolio delle trasmissioni nazionali rimaneva in capo alla Rai), segnò una generazione. Le radio libere, la battaglia culturale e politica che vi ruotò intorno, contesti come Radio Città Futura a Roma, Radio Alice a Bologna e Radio Aut a Cinisi, geniale intuizione di Peppino Impastato, solo per citare le principali, hanno creato una nuova generazione di giornaliste e giornalisti. Quella generazione guardava al domani con coraggio, con il desiderio di raccontare i fatti con un linguaggio innovativo e di affermare un modello di società diverso rispetto al passato. Oggi questa passione si è persa, per quanto si debba guardare con attenzione e ottimismo alla generazione che si sta mobilitando contro lo sterminio dei palestinesi, per l’ambiente, per i diritti umani e per la dignità della persona.
Potremmo chiamarla “Generazione Flotilla”, e bene hanno fatto quegli osservatori che, con acume, hanno notato una similitudine con il movimento alterglobalista che a inizio secolo si mobilitò contro la globalizzazione capitalista e neo-liberista. Saprà la sinistra coinvolgerla e valorizzarla, a differenza di ciò che avvenne allora, quando ahinoi la passione e l’entusiasmo che si erano sprigionati in mesi di intensi dibattiti vennero calpestati e condannati al silenzio da una repressione selvaggia e non certo casuale? Ce lo domandiamo anche alla luce della scomparsa di un amico, di un compagno e di un maestro come Aldo Tortorella, storico dirigente comunista, direttore dell’Unità e braccio destro di Berlinguer ai tempi in cui un italiano su tre votava per il Pci.
In quest’opera gli rendiamo omaggio, prendendo spunto dalle sue molteplici riflessioni sul tema dell’informazione, a cominciare dalla sua fiera e indomabile avversione nei confronti di Trump e del movimento di cui è capo, del quale, proprio come noi, vedeva non solo i limiti ma anche la pericolosità sociale. La recente richiesta di un risarcimento monstre (15 miliardi di dollari) all’indirizzo del New York Times ci dice che è ormai lontana l’America dei Pentagon Papers e dello scandalo Watergate, portato alla luce da due giovani cronisti come Bob Woodward e Carl Bernstein, interpretati rispettivamente dal compianto Robert Redford e da Dustin Hoffman in Tutti gli uomini del Presidente di Alan J. Pakula.
È lontana quell’America, com’è lontana la Rai dei Bernabei e dei Biagio Agnes, dei Siciliano, degli Zaccaria e dei Celli: non che non vi fossero errori, censure e bavagli anche all’epoca, ci mancherebbe altro, ma se Dario Fo e Franca Rame venivano allontanati per 15 anni per aver parlato di morti sul lavoro durante uno sketch a Canzonissima, si affermavano comunque professionisti come Piero Angela, Umberto Eco, Enzo Biagi e Sergio Zavoli, giusto per citarne alcuni.
Nel libro abbiamo compiuto alcune riflessioni amare, ad esempio mettendo a confronto alcuni storici direttori del Tg1 e di Rai News 24, pensiamo ad Albino Longhi e a Roberto Morrione, con le personalità che ricoprono attualmente quei ruoli. Il resto vien da sé. Non abbiamo omesso, fin dal titolo, le colpe della sinistra perché è bene chiarire che TeleMeloni ha radici antiche, a cominciare dalla mancata legge sul conflitto d’interessi nell’ultimo anno del governo dell’Ulivo, quando si preferì varare lo sciagurato Titolo V con tutte le conseguenze che ha comportato. Il punto, per dirla con Biagi, è la differenza fra una Tv di Stato e una Tv di governo. La prima può avere delle pecche, la seconda mette a repentaglio la democrazia.