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Grazie alla Flotilla, perché ci restituisce speranza nella pace

Grazie alla Flotilla, perché ci restituisce speranza nella pace
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Se da dieci giorni il dibattito sulla Flotilla verte attorno agli aiuti umanitari vuol dire che siamo allo stremo delle forze intellettuali. È evidente oltre l’ovvio, ed è stato anche esplicitato dagli organizzatori sin dall’inizio, che la missione non ha lo scopo di sfamare la popolazione di Gaza: gli attivisti vogliono affermare l’illegittimità del blocco navale (in corso da 18 anni) e dell’intera azione del governo israeliano a Gaza. E agli occhi della maggioranza dell’opinione pubblica ci stanno riuscendo, cosa che manda in tilt i nostri governanti.

Giorgia Meloni e i suoi continuano, sfidando il ridicolo, a sostenere a giorni alterni che si tratta di un gruppo di sfaccendati mitomani o che l’impresa è finalizzata a mettere in difficoltà il governo italiano: gli equipaggi malesi e irlandesi, come i colombiani e i neozelandesi del resto, sono partiti pensando a Giorgia nostra. La premier sostiene anche che la missione “è irresponsabile perché mette a rischio il piano di pace”, scarica cioè le colpe su chi porta gli aiuti invece che su chi ammazza indiscriminatamente, su chi rischia di venire illegittimamente attaccato invece che su chi attua, in violazione delle leggi internazionali, un blocco navale.

Si criminalizzano i portatori disarmati di pace al posto degli aggressori: un giochetto che, nonostante il supporto di buona parte della stampa, non sta riuscendo. Ecco perché sono così incazzati, perché la missione ha suscitato un’ondata di solidarietà e partecipazione che non si vedeva da anni. Non possono più dire che sono quattro studenti perdigiorno e la scorta della nave militare che si ritira per non affrontare la marina di Israele sembra a tutti ciò che è, una resa complice a chi viola impunemente il diritto internazionale.

Con uno sparuto gruppo di barchette malandate, la Flotilla ha illuminato l’inerzia connivente dei governi europei, alleati di Israele, portando alla luce tutte le contraddizioni tra le tardive dichiarazioni di condanna e la sostanziale indifferenza che non ha avuto come conseguenza – almeno per quanto riguarda l’Italia – né sanzioni né interruzioni di rapporti commerciali con lo Stato che sta sterminando una popolazione inerme per sottrarle la terra e costruire una Riviera di lusso. Un orrore che sta avvenendo sotto i nostri occhi e a cui la maggioranza delle persone non vuole più assistere in silenzio.

La Flotilla ha smascherato le bugie, grazie al valore di persone che si sono messe in gioco con il proprio corpo, convinte che la propria vita non abbia più valore di quella dei civili massacrati. Ci hanno restituito la speranza, dopo anni di guerra e massacri, di poter mettere fine ai venti di guerra che soffiano da più parti, spinti dalle solite motivazioni: denaro e potere. I volontari, persone comuni e accomunate dal desiderio della pace, dimostrano che insieme ci si può ribellare alla legge del più forte. Quando parliamo di valori occidentali non parliamo forse di ciò che sta alla base della democrazia, cioè libertà, uguaglianza, sicurezza? Quando siamo noi occidentali e i nostri alleati a violare i principi della democrazia cosa dovremmo fare, stare a guardare? Cosa ci diranno tra vent’anni o trenta, quando Gaza sarà un resort di lusso costruito sul sangue dei civili e sotto l’egida di una “tecnocrazia” (parola spaventosa) guidata da Tony Blair, divulgatore riconosciuto di menzogne guerrafondaie? Non vi è bastato l’Iraq?

La missione della Flotilla è un simbolo potentissimo della non rassegnazione alla legge della violenza, una ribellione gandhiana e coraggiosissima. Gli attivisti hanno fatto incessantemente training non violenti, la loro parola d’ordine è non reagire a nulla: mettono sul tavolo la loro libertà e la loro incolumità al servizio di un’idea che ha ripreso corpo e si chiama pace. È questa la loro straordinaria forza, ed è per questo che dobbiamo, con enorme gratitudine, proteggerli.

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