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Leonka: due cortei a Milano, ma stiamo attenti alle ipocrisie

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Domani, a Milano, la politica dovrà fare i conti con l’ipocrisia. Ci saranno due manifestazioni, due cortei, nati in risposta a un unico attacco: lo sgombero di polizia del centro sociale Leoncavallo, deciso e realizzato in pieno agosto dal governo di destra. Protestare è legittimo, chiedendo che non si chiudano spazi sociali nel già asfittico panorama urbano milanese. Per difendere il Leoncavallo, ma anche il Cantiere, anch’esso sotto sfratto.

Detto questo, è necessario però evitare che il glorioso Leonka sia usato come arma di distrazione di massa. È quello che sta facendo una parte della sinistra milanese, la sinistra Ztl dei salotti buoni e dei calzini arcobaleno, dei diritti civili proclamati per far dimenticare la disattenzione per i diritti sociali. Nel pieno dello scandalo sull’urbanistica, la sinistra Ztl è rientrata in pista alzando la bandiera del Leonka per far dimenticare Grattacielo selvaggio, i palazzi costruiti nei cortili, la deregulation dell’edilizia, i 2 miliardi di oneri per servizi regalati ai costruttori, il progetto di una città in cui le disuguaglianze crescono, 400 mila persone sono espulse, la classe media è impoverita e dissolta.

A Milano si è saldato un blocco sociale, il blocco sociale Sala-Catella, che è qualcosa di più che la semplice (si fa per dire) violazione delle norme urbanistiche per favorire qualche sviluppatore immobiliare o per portare a casa qualche incarico di progettazione da parte dei nuovi “architetti da riporto”. C’è una Milano luna-park della rendita che si vuole imporre come modello di sviluppo, in una bulimia edificatoria che fa strame delle regole e non tenta nemmeno di mettere in atto i correttivi che altre città europee stanno sperimentando, da Barcellona a Monaco di Baviera, da Vienna a Berlino, da Parigi a Copenaghen. A Parigi, l’amministrazione ha trasformato Place de l’Hôtel-de-Ville in un bosco urbano; Milano ha creato invece isole di calore e travestito da boschi i suoi grattacieli di cemento. A Monaco di Baviera (seconda metropoli d’Europa per investimenti immobiliari), gli operatori restituiscono alla città il 30 per cento del valore che estraggono dalla città; a Milano solo l’8 per cento. In queste due cifre c’è la spiegazione del “Modello Milano”, che non è l’inesorabile destino di ogni città, ma l’esito di una bulimia, di politiche sbagliate realizzate dalle amministrazioni comunali proprio qui, a Milano, in nome di una “attrattività” senza regole. Si poteva fare diversamente, o almeno si potevano attivare correttivi contro le disuguaglianze.

Manifestare domani, dunque, significa prendere posizione dentro questo contesto, strappando il velo d’ipocrisia a chi si nasconde dietro il passato glorioso del Leoncavallo per non vedere il presente della Milano diventata paradiso fiscale dell’immobiliare. Tanto più alla vigilia dell’ultimo scempio, la svendita a Paolo Scaroni & C. dello stadio Meazza per dare il via libera a una gigantesca speculazione edilizia su 190 mila metri quadrati di città.

Due cortei, domani. In uno, sarà prevalente la protesta contro lo sgombero con cui la destra ha dato il via alla campagna elettorale per la riconquista della città, ma lo slogan è “Giù le mani dalla città”. Nell’altro, sarà prevalente la protesta contro il modello di sviluppo urbano realizzato “in continuità” (a dirlo è Manfredi Catella) da quattro amministrazioni, due di destra e due di sinistra. Niente di più sbagliato che contrapporre o dividere le due manifestazioni. Entrambe, al netto dell’ipocrisia e delle strumentalizzazioni di certi politici, possono esprimere il desiderio dei cittadini di tornare a vivere in una città dove a dettare l’agenda al sindaco non sia Catella, davanti a un gin tonic.

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