Qualcosa si muove su Israele. Finalmente si inizia a reagire
Sarà l’effetto delle immagini, quelle angoscianti fotografie di bambini ridotti a pelle e ossa, forse ancora vivi o forse no, che potrebbero essere state scattate alla scoperta dei campi di concentramento, 70 anni fa. Sarà che quelle immagini sono finalmente uscite dal circuito dei social network per finire sui quotidiani, incluso quelli per cui, fino a poco tempo fa, i palestinesi “morivano”, apparentemente senza ragione, e non a causa di uno sterminio programmato. Sarà anche che in un crescendo inimmaginabile eppure reale la neolingua orwelliana del governo israeliano dà forma alla distopia chiamando “città umanitarie” quelli che vorrebbe fossero lager per deportazioni di massa. E ancora: sarà che, dopo 211 reporter uccisi i più importanti organi di informazione mondiale hanno infine iniziato a protestare, chiedendo il diritto di documentare il primo massacro trasmesso in diretta streaming dalla popolazione che lo subisce, ma inaccessibile ai giornalisti stranieri. E sarà che i giovani israeliani, costretti ancora ragazzini a vestirsi da soldati e a entrare – provocandolo – nell’inferno, iniziano a denunciare la brutalità di questo sistema, le conseguenze che ha sulla loro psiche, tanto da decidere in numeri sempre maggiori di bruciare pubblicamente le cartoline del reclutamento. E, diciamocelo, sarà infine pure che, quando anche l’Organizzazione mondiale della Sanità dice apertamente che a Gaza 2,1 milioni di persone soffrono la “minaccia mortale della fame” e che la “carestia è causata dall’uomo” – dunque che la privazione del cibo è parte di un’ingegneria del genocidio, altra eco di tempi che credevamo irripetibili – ecco, allora diventa quasi obbligatorio poter dire, un domani, che ci si era opposti a tale orrore.
Sarà tutto questo, e molto altro ancora, ma qualcosa forse inizia a cambiare nel modo in cui il mondo che pensavamo assuefatto all’orrore reagisce a quanto accade nella Striscia di Gaza, e che un domani potrebbe ripetersi – in parte già succede – nel resto dei Territori: il Parlamento israeliano ha appena passato una legge – non vincolante, certo, come se però fosse quello il punto – che sostiene l’annessione della Cisgiordania. È troppo, ed era troppo già moltissimi mesi fa. È un troppo che richiede azioni concrete di cui ancora non vi è traccia, al più minacce senza seguito. Eppure va detto che quando anche il governo italiano, sempre fermo nel ribadire amicizia a Benjamin Netanyahu, firma una lettera durissima che chiede la cessazione delle operazioni e denuncia i piani dell’alleato, si può pensare che il risveglio di umanità costringa persino la politica a mostrarne un po’. E bisognerebbe allora forse chiedere scusa ai molti che sono stati tacciati di antisemitismo per aver avuto il coraggio di dire la verità e invocato misure concrete, mentre a pulizia etnica in corso il presidente della Repubblica Mattarella incontrava e professava amicizia all’omologo israeliano Herzog – uno che, di nuovo in questi giorni, ha sostenuto che Tel Aviv “agisce secondo il diritto internazionale” e “fornisce aiuti umanitari”.
Al presidente si levano appelli sempre più frequenti perché faccia quello che è in suo potere per allentare qualsiasi complicità con lo sterminio: ricordiamo che, come ha scoperto la trasmissione Presadiretta, è tuttora impossibile sapere cosa ci sia scritto nel Memorandum d’intesa in materia di difesa tra Italia e Israele firmato nel 2005. Ma si sa invece che il 20% delle armi importate da Roma arrivano proprio da Israele: sosteniamo insomma economicamente uno sterminio. Se davvero l’umanità inizia a reagire, benché troppo tardi e troppo debolmente, la prima cosa da fare è cessare immediatamente questo sostegno.
Per il Forum Disuguaglianze e Diversità