La solidarietà “Futura” prova a vincere la povertà educativa
Si scrive “solidarietà territoriale”, si legge capacità industriale per la difesa e mobilità militare. Armi e cultura della guerra, insomma, e il concetto farebbe disperare anche se le due cose non fossero incredibilmente inserite tra le nuove priorità strategiche su cui l’Ue conta di investire miliardi di fondi di coesione comunitari, come invece è. Certo, il riarmo nell’elenco sta a fianco, tra le altre, dell’emergenza abitativa e della resilienza idrica, che hanno ben altro senso; ma è chiaro che solo l’idea di poter accomunare gli ambiti la dice lunga sulla piega che ha preso l’indirizzo di investimenti cruciali per lo sviluppo dell’Europa, oggi affidati al commissario italiano Raffaele Fitto.
Non va meglio nemmeno nel modo di affrontare queste emergenze, con una logica neocentralista disattenta ai contesti, che replica il pessimo metodo adottato con il Pnrr: spendere per spendere, senza attenzione ai risultati per la vita delle persone. Vale in tutta la Ue, e soprattutto in Italia, dove – secondo i dati Istat – 1 milione e 295 mila tra bambine, bambini, ragazze e ragazzi vivono in condizioni di povertà assoluta, con implicazioni che peggiorano se si considera il divario di genere: nella fascia d’età 15-29 anni la percentuale di coloro che non studiano e non lavorano (Neet) è pari al 13,8% tra gli uomini e al 16,6% tra le donne, ma dopo i 25 anni la differenza tra gli uni e le altre è di circa 10 punti percentuali (16,9% a 26,5%). Le evidenze segnalano l’urgenza di un cambiamento di paradigma nel contrasto alla povertà educativa; cambiamento che deve necessariamente partire dalla consapevolezza degli intrecci tra i molteplici disagi e dell’incidenza dell’asimmetria di genere su ogni disuguaglianza.
Serve, dunque, un approccio metodologico completamente diverso da quello assunto da una Commissione europea sempre più sorda al grido delle persone che dovrebbe guidare, e una buona indicazione arriva dalla sperimentazione di “Futura”, progetto promosso da Save The Children, Forum Disuguaglianze e Diversità, YOLK™ in collaborazione con Intesa Sanpaolo con azioni concentrate su tre territori molto diversi tra loro: Venezia, Roma, Napoli. Grazie alla co-progettazione portata avanti con associazioni culturali, sportive e ricreative, con scuole e servizi sociali, sono stati realizzati “Programmi personalizzati di accompagnamento educativo”, sostenuti da stanziamenti specifici e definiti a partire dagli specifici bisogni e desideri di ogni giovane coinvolta, con quattro ambiti prioritari: studio e lavoro, speranze e aspirazioni, benessere emotivo e relazioni sociali e reti di supporto. Non soluzioni pre-confezionate dunque, nello schema “erogazione finanziaria-acquisto di servizi”, con il rischio di mero assistenzialismo e della privatizzazione. Bensì progetti abilitanti, che riconoscono le difficoltà delle biografie e forniscono a ogni donna gli strumenti capaci di attivare un protagonismo che genera cambiamento. Si scopre così, per esempio, che il 56% dei fattori individuati come potenziali ostacoli per la vita delle partecipanti, (per l’80% economici, ma anche relazionali ed emotivi (56%), socioculturali (28%) di accesso alle informazioni (22%), sono stati superati già molto prima della fine del percorso, aprendo nuove possibilità. Si dirà che 350 persone sono poca cosa, rispetto a un Paese o a un continente. Ma le sperimentazioni in cui si misurano gli impatti servono proprio a questo: a capire come portare a livello di sistema metodi e insegnamenti acquisiti.
Per il Forum Disuguaglianze e Diversità