Il mondo FQ

Pitti Uomo: tempi di guerra, così il made in Italy resiste

La “consapevolezza del tempo in cui viviamo” è la caratteristica della 108esima edizione: 740 brand presenti, il 45% esteri
Pitti Uomo: tempi di guerra, così il made in Italy resiste
Icona dei commenti Commenti

“Ragazzi, amm’ a’ faticà. Dobbiamo faticare, ma la moda può vincere il campionato”. L’apertura dell’edizione numero 108 di Pitti Uomo ha il tono franco e realistico di Antonio De Matteis, presidente di Pitti Immagine. Il salone di riferimento globale per la moda uomo ha visto 740 brand (di cui il 45% esteri) presentare le loro collezioni Primavera/Estate 2026 a una platea di buyer internazionali dal 17 al 19 giugno, confermandosi l’appuntamento chiave per gli addetti del settore.

Tra i cortili della Fortezza da Basso di Firenze si è respirata un’atmosfera sospesa, pervasa da un’incertezza globale che pesa come un macigno, ma anche da una sorprendente energia resiliente. C’è infatti una parola che ha attraversato quasi tutte le nostre conversazioni di questi giorni: consapevolezza. Consapevolezza del tempo in cui viviamo, della complessità che avvolge i mercati, delle aspettative – mutate – dei consumatori, e del ruolo che la moda può ancora avere. In un contesto segnato da tensioni geopolitiche, rallentamenti nei consumi e aumento dei costi di produzione, gli imprenditori presenti a Pitti hanno mostrato una lucidità spesso disarmante, alternando pragmatismo, disincanto e desiderio autentico di bellezza. Il primo a sottolineare il peso del presente è stato Brunello Cucinelli, la cui voce – come spesso accade – si alza sopra la cronaca per interrogare il senso delle cose: “Siamo sull’orlo di una guerra nucleare, ma io non voglio vedere il mondo così. Vivo di speranza, perché ho tre nipotini e ogni giorno mi domando come sarà la loro vita tra 50 o 100 anni”. Per lui, l’eleganza non è solo forma, ma risposta civile: “Dopo un ventennio di grande arroganza, ci siamo ammalati nell’anima. Ora avverto nei giovani un bisogno urgente di gentilezza, di educazione, di ascolto. Questo, più di tutto, è il segnale che qualcosa può cambiare”. Anche la sua collezione riflette questo spirito: una primavera-estate raffinata, moderna, non ostentata.

L’esigenza di tornare a una relazione autentica con il consumatore attraversa le parole di Marco Palmieri, ad di Piquadro, che ha presentato innovazioni concrete in chiave sostenibile: zaini con chiusura digitale e valigie con rotelle sostituibili. Ma ciò che conta di più, secondo l’azienda, è il cambio di mentalità: “Chi compra vuole sapere tutto: se un prodotto è riparabile, quanto dura, se è realizzato con materiali affidabili. Lo storytelling esasperato non funziona più”. È la sintesi perfetta dello spirito di questa edizione: le aziende della moda e del tessile italiano rispondono alla crisi non con la rassegnazione, ma con una focalizzazione quasi ossessiva sul prodotto, sulla qualità e su nuovi valori. E i numeri, per molti, danno loro ragione: Ecoalf ha chiuso il 2024 con una crescita del 24%, Bomboogie con un +3%, Piquadro con un +2%, e marchi come Markup e Keeling si dichiarano “oltre le aspettative”. “Non si tratta di abbassare i prezzi, ma di investire sulla qualità. Il cliente oggi premia la coerenza”, ci dice Manuele Musso, ad di Bomboogie.

Anche la sostenibilità non è più un’etichetta, ma una missione. Ne è l’esempio più radicale Ecoalf di Javier Goyeneche: “Quest’anno abbiamo recuperato 450 tonnellate di plastica dal mare, il 68% è tornato nel sistema produttivo”. C’è poi chi, come Daniele Fiesoli, trasforma la sostenibilità in un gesto poetico: “Seminare bellezza”. Nei cartellini dei suoi capi ci sono semi di fiori selezionati per le api: “Se i numeri vanno bene, metteremo dai 5 ai 6 milioni di semi nel mondo l’anno prossimo”, dice l’imprenditore designer dell’omonimo brand. La stessa tensione ideale anima Keeling, marchio giovane e internazionale che si presenta come “conservation company”: ogni capo della nuova collezione è pensato per un’eleganza naturale e in armonia con la pell ed è realizzato con fibre naturali e innovative, lavorate con tecniche di tintura sostenibile a basso consumo d’acqua e di energia. Con ogni acquisto, infatti, Keeling si impegna a sostenere progetti certificati B Corp per la protezione e il ripristino delle praterie di Posidonia Oceanica, ecosistemi vitali che filtrano le acque, proteggono le coste e assorbono enormi quantità di CO₂, rivelandosi alleate fondamentali contro il cambiamento climatico.

Dal Veneto arriva invece il progetto di Nine in the Morning, che nasce dal desiderio di costruire un brand interno, con filiera lunga e materiali di eccellenza: “Siamo partiti con i pantaloni, poi abbiamo costruito un total look coerente. Non è sartoriale, è artigianato vero, radicato nel territorio”, spiega Umberto Vendramin, co-founder della label insieme al fratello Alessandro. Nella calzatura, Valsport affronta la stagione con determinazione e realismo. Il marchio rilancia con tre sneaker storiche riviste in chiave femminile: suole basse, tomaie nude, leggerezza estiva. “La pelle è il materiale più colpito dai rincari, ma anche il nylon e la gomma pesano. Il cliente finale però non lo percepisce, ed è l’azienda a doversi fare carico dell’impatto”. Piacenza, senza clamore, continua il suo lavoro su filati pregiati e palette cromatiche raffinate, confermando il valore della tradizione applicata con rigore alla maglieria contemporanea. Infine, la voce di Markup chiude il cerchio: “Crisi, guerre, consumi che si spostano verso altre esperienze. Ma noi dobbiamo continuare a suscitare emozioni. È il nostro mestiere”.

I commenti a questo articolo sono attualmente chiusi.