Dl Sicurezza: dobbiamo agire prima che la rana sia bollita
Quanto manca all’acqua per bollire? A leggere l’articolo 31 del disegno di legge “Sicurezza”, che fin dal nome tratteggia un distopico rovesciamento di interessi da proteggere, si direbbe davvero poco. La storiella è arcinota: la rana nella pentola sente l’acqua che si scalda pian piano e, intorpidita dal tepore, finisce con l’abituarsi alla temperatura sempre più alta; quando infine capisce che il caldo sta diventando insopportabile, è troppo tardi: l’acqua bolle e lei non riesce più a saltare fuori. Perché la raccontiamo? Semplice: esiste un rischio concreto, segnalato dalle opposizioni in modo compatto contro un provvedimento gravissimo e illiberale, di fare la fine della rana. E per evitarlo è bene concentrarsi sull’assurda previsione infilata in una norma che dovrebbe contrastare il terrorismo e la criminalità organizzata e serve invece per reprimere il dissenso, nonché per autorizzare uno spionaggio ai danni dei cittadini da parte dei Servizi segreti, violando ogni convenzione.
L’articolo in questione, già approvato nelle Commissioni preposte e intitolato “Disposizioni per il potenziamento dell’attività di informazione per la sicurezza”, prevede infatti che i servizi possano ottenere dalle pubbliche amministrazioni e dalle società pubbliche informazioni riservate. In nome della sicurezza nazionale “il Dis, l’Aise e l’Aisi possono stipulare convenzioni con i predetti soggetti, nonché con le università e con gli enti di ricerca, per la definizione delle modalità della collaborazione e dell’assistenza suddette. Le convenzioni possono prevedere la comunicazione di informazioni ai predetti organismi anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza”. Tradotto: i Servizi segreti potranno chiedere a ospedali, università e in teoria persino emittenti radiotelevisive in regime di concessione informazioni personali su pazienti, giornalisti, studenti, professori. Informazioni oggi protette dalla privacy, e che al momento le istituzioni in questione possono rifiutarsi di fornire: il ddl Sicurezza rende invece obbligatoria la collaborazione, costringe cioè le pubbliche amministrazioni a “tradire” cittadine e cittadini. Chi fosse particolarmente ingenuo, e non a conoscenza della tragica storia italiana di servizi deviati nonché del recente caso Paragon, e cioè dello spionaggio a danno di giornalisti e attivisti per i diritti umani su cui dal governo non si riesce ad avere chiarezza, potrebbe chiedersi a che pro costringere i luoghi della vita democratica a questo. Ed è utile allora ricordare le parole di JD Vance, sagace e pericoloso vicepresidente statunitense, che con apprezzabile chiarezza ha spiegato ai suoi: “Le università sono il nemico”. Lo sono cioè i luoghi di elaborazione di opinioni critiche, di mobilitazione e attivismo, di fermento intellettuale, di condivisione e collaborazione: non è difficile capire perché sia utile accatastare informazioni su chi abita questi spazi. Gli stessi spazi, d’altronde, che il governo continua a infragilire e minacciare con un’oscena riforma dell’università fatta di tagli e precarizzazione: metodi piuttosto brutali ed efficaci per sedare la spinta intellettuale non allineata. Da tempo si denuncia l’autoritarismo crescente dell’esecutivo di Giorgia Meloni, ma per non svegliarsi rane bollite tocca riconoscere il salto di qualità prima che sia legge. Il governo, su pressione delle opposizioni, ha detto che correggerà i passaggi più critici prima del voto in aula, previsto a breve. Buffa pratica far approvare qualcosa e poi promettere cambiamenti: a pensare male, si direbbe che l’obiettivo è insabbiare l’attenzione. Ecco perché bisogna supportare l’azione di chi in Parlamento denuncia l’inaccettabile forzatura, e manifestare oggi: una volta che l’acqua bolle, cioè quando la norma sarà legge, farlo potrebbe essere più difficile.
Per il Forum Disuguaglianze e Diversità